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Giovedì 10 Settembre 2009 - Libertà

Parla Sergio Rebora, curatore della grande esposizione che sarà aperta alla Ricci Oddi da domenica al 2 maggio 2010

Apre al pubblico domenica la mostra Pittura toscana alla Ricci Oddi. Collezioni a confronto, che resterà allestita nel salone d'onore del museo di via San Siro fino al 2 maggio 2010. Quaranta dipinti dalle dimensioni contenute, di proprietà di un privato che preferisce rimanere anonimo, con i quali Sergio Rebora, curatore dell'esposizione, ha articolato un itinerario a "integrazione delle opere degli artisti toscani presenti nel percorso stabile della galleria". Promossa dalla Ricci Oddi e dall'assessorato alla cultura del Comune di Piacenza, con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e della Fondazione di Piacenza e Vigevano, la mostra sarà visitabile da martedì a domenica, dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18. Con lo stesso biglietto si accederà anche al museo, che accoglierà il pubblico con un ingresso e un bookshop rinnovati. Il catalogo è edito da Silvana editoriale.
«Poiché la raccolta privata che esponiamo è formata da questi quaranta dipinti, ci siamo trovati di fronte a un percorso in qualche modo già costruito», precisa Rebora. «Abbiamo allora cercato di individuare piccoli nuclei che da un lato permettessero di ricostruire la storia della pittura in Toscana dal secondo '800 alla prima metà del '900 e dall'altro di documentare l'attività di movimenti diversi, allargando lo sguardo dai macchiaioli ai pittori labronici e post-labronici».
In quanti capitoli è scandito l'itinerario?
«Cinque. Più che di sezioni ben distinte tra loro, divise meccanicamente, abbiamo voluto però sottolineare la continuità tra le esperienze di questi artisti e l'allestimento cerca proprio di restituire il reciproco scambio che avveniva tra i modi di operare. Si inizia con gli artisti ritenuti più rappresentativi della pittura toscana dell'Ottocento: Giovanni Fattori, Silvestro Lega e Telemaco Signorini con un capolavoro assoluto della sua pittura giovanile, ai quali si aggiunge Luigi Bechi, sicuramente meno noto, ma tornato negli ultimi tempi alla ribalta, come un precursore da mettere accanto ai maestri che ho ricordato. A loro, seguendo le indicazioni della critica più recente, abbiamo accostato le opere degli artisti che si suole definire per comodità manualistica "italiani a Parigi": Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis e Federico Zandomeneghi. Toscani di formazione, o attivi in Toscana nella fase giovanile, si sono trasferiti oltralpe, nella capitale francese, dove hanno potuto lavorare fianco a fianco con i protagonisti dell'impressionismo, esponendo in alcuni casi alle loro mostre. Successivamente incontriamo i seguaci della pittura di macchia, pittori dalla fisionomia molto dissimile e difficili da accostare tra loro. Ci è però sembrato utile far vedere come, all'interno di una lingua comune, artisti dalla personalità individuale diversa sapessero conservare le loro prerogative. Qui troviamo il piacentino Stefano Bruzzi, l'ancora misterioso Francesco Folli, che ebbe molta fortuna negli Stati Uniti, Vincenzo Cabianca, Alberto Pisa e altri. Ci spostiamo quindi a Livorno, città artisticamente vivace, con Vittorio Corcos, Plinio Nomellini, di cui i dipinti nella raccolta permanente della Ricci Oddi mostrano bene la fase simbolista, i Tommasi, i Gioli, Benvenuto Benvenuti, Oscar Ghiglia».
Sono comunque dipinti di piccolo formato: studi preparatori o opere concluse in sé?
«L'uno e l'altro e la stessa cosa contemporaneamente. Ci sono bozzetti che pensiamo di riconoscere come studi preliminari per opere più impegnative, ma nell'ottica della pittura rinnovata anche l'impressione dal vero ha una compiutezza uguale a quella dell'opera di grande formato. E ci sono opere sicuramente compiute in se stesse, come l'Interno dello studio del pittore di Alberto Pisa. Ferrarese di estrazione borghese, Pisa arriva alla pittura come dilettante. Vi si può comunque dedicare senza problemi di tipo economico. A Firenze rimane folgorato dalla pittura di macchia. Si reca quindi in Francia, soggiorna a Londra, si confronta con la pittura europea».
Altri artisti cercavano invece l'ispirazione in Oriente.
«E' il caso di Adolfo Belimbau e di Eugenio Cecconi, che compiono insieme un viaggio nel Nord Africa. Belimbau era nato al Cairo all'interno di una famiglia cosmopolita, molto agiata. Da un lato l'esotismo appare come una concessione alle mode dell'epoca, quando negli anni '60 e '70 dell'Ottocento si era diffuso in tutta Europa presso la pittura ufficiale l'interesse per l'oriente, anche in sintonia con certi orientamenti culturali. Nel 1871, per esempio, va in scena al Cairo l'Aida di Giuseppe Verdi. D'altro canto abbiamo anche schizzi dal vero, da considerare come una sorta di reportage visivo che gli artisti tracciavano sul posto e poi magari sviluppavano in composizioni più ampie nei loro atelier».
Quali sono i dialoghi più interessanti suggeriti dall'incontro tra i quadri in mostra e le opere della Ricci Oddi?
«C'è soprattutto un rapporto di integrazione. Mentre la Ricci Oddi possiede opere di grande formato, che hanno partecipato a esposizioni nazionali - penso ai dipinti di Nomellini, Fattori, Signorini - la mostra fa vedere invece un altro modo di operare di questi artisti, che è la piccola impressione, colta dal vero, in sintonia con l'operare en plein air degli impressionisti francesi. Si tratta di un'integrazione anche tipologica, testimonianza di un modo di collezionare le cui radici affondano nel passato. Alla base di questa collezione c'è il gusto per l'opera di piccolo formato di cui poter godere in uno spazio ristretto, dunque ideale in una casa, più che in un museo. E' una modalità antica, comune in origine anche a quella di Ricci Oddi, che successivamente è diventato un grande collezionista come Alfredo Giannoni a Novara e i fratelli Frugone a Genova, creando raccolte di capolavori, diventate poi i musei di arte moderna delle rispettive città in cui le collezioni sono state costituite».

ANNA ANSELMI

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