Lunedì 24 Agosto 2009 - Libertà
«Fu uomo coerente,di grande moralità»
Il ricordo di Parenti, Marazzi e Betti
Piacenza - Si rincorrono le stesse parole nel descrivere chi era Vito Schiavi, parole lusinghiere e commosse per una figura che ha segnato la storia produttiva di Piacenza.
In questi brevi "ritratti" prima ancora del successo, viene decantato l'impegno etico, la correttezza e l'onestà, il lavoro inteso come missione. Schiavi era uomo serio e riservato, uno spirito liberale, che oltre alla fabbrica coltivava poche altre cose: l'amore per la famiglia e per la moglie Bianca, l'impegno filantropico e la fedeltà alla messa, le passioni semplici, come curarsi del giardino e una sobrietà proverbiale nei costumi. Ecco un aneddoto d'altri tempi: Schiavi per raggiungere la sua impresa in via della Bosella prendeva ogni giorno l'autobus sullo Stradone Farnese, vicino alla casa di via Santa Franca. Niente auto, niente autista. E chi lo ha conosciuto bene si chiede se il cavaliere abbia mai fatto una vera vacanza.
«Vito Schiavi era un grande imprenditore - ricorda Giacomo Marazzi, presidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano - uomo con una forte fede e una visione etica delle cose». Marazzi mette l'accento soprattutto su coerenza e determinazione, come aveva dimostrato ripartendo con un'azienda a 85 anni suonati. Ma un profilo caratteriale così forte non impediva a Vito Schiavi di essere anche umanamente aperto, simpatico, pronto alla battuta: «Era di buona compagnia, ricco di humor».
E anche Cesare Betti, direttore e memoria storica di Confindustria, traccia un ricordo simile di Schiavi che in Confindustria ha assunto a lungo responsabilità in consiglio e in giunta, membro fra i più autorevoli ed ascoltati, al pari di Aldo Aonzo. E' il ricordo di un imprenditore che aveva saputo farsi da solo «molto saldo nei principi morali». E a chi gli ricordava le parole del Vangelo per le quale è più facile che un cammello passi dalla cruna di ago che un ricco entri nel regno dei cieli, opponeva la sua parabola preferita, quella dei talenti, per spiegare come l'imprenditore abbia una responsabilità sociale forte e come debba far sfruttare le sue abilità a vantaggio dei dipendenti e della società tutta.
Questo temperamento gli aveva guadagnato stima e rispetto. «A fine Anni ‘70 quando i rapporti sindacali erano duri - rammenta ancora Betti - discutevamo di un contratto aziendale alla Schiavi, ad una assemblea c'erano 150 operai, Vito Schiavi parlava con un filo di voce ma lo sentivano anche nell'ultima fila, nel silenzio assoluto, in segno di rispetto e di fiducia. Tutti sapevano che quel che diceva l'avrebbe portato fino in fondo».
Anche Giuseppe Parenti, presidente della Camera di Commercio, ha un ricordo vivido di Vito Schiavi, che peraltro lo aveva proposto per il cavalierato e la cui conoscenza si approfondisce e diventa amicizia negli anni in cui Parenti presiede Confindustria: «Ne apprezzavo l'integrità morale, la forte religosità, il senso del dovere estremo. Concepiva l'azienda come un'attività dal valore prima di tutto sociale, un bene per il territorio».
C'era la voglia, sempre, di innovarsi: «Colpiva la sua sicurezza, la determinazione, la chiarezza di idee. Era difficile trovarlo in dubbio su come dovesse muoversi».
p. s.