Giovedì 11 Giugno 2009 - Libertà
Oggi al Farnese l'allestimento rinnovato, complessi interventi di pulitura, asciugatura, consolidamento ed incollaggio con resine specifiche per il restauro
Riapre al pubblico il museo archeologico di Palazzo Farnese, presentandosi con l'allestimento rinnovato della sezione di preistoria e protostoria, trasferita negli spazi recuperati del "corpo aggettante" della cittadella. Oggi alle 17.30 interverranno all'inaugurazione il vicesindaco Francesco Cacciatore, l'assessore alla cultura Paolo Dosi, il soprintendente per i beni archeologici dell'Emilia Romagna, Luigi Malnati, e il presidente dell'Ente per il restauro di Palazzo Farnese, Alberto Spigaroli. Seguirà la visita guidata da Annamaria Carini, curatrice scientifica del progetto. Il museo si è nel frattempo arricchito di ulteriori manufatti che, prima di essere esposti al pubblico, sono stati affidati alle mani della restauratrice Luisella Ganduglia, impegnata in questi mesi anche nel recupero delle ceramiche rinvenute durante i lavori che hanno trasformato la chiesa di Santa Margherita nell'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, dove in parte verranno collocati permanentemente per raccontare la storia del complesso di via Sant'Eufemia, estesa senza soluzione di continuità dall'età romana al barocco. Ganduglia, originaria di Savona (diplomata al liceo artistico, ad Albissola Marina ha frequentato un corso biennale sulla ceramica che le ha cambiato il futuro, facendole mettere da parte l'iscrizione alla facoltà di architettura), una trentennale esperienza nel campo del restauro archeologico, racconta del suo lavoro, che richiede «competenza, tanta passione e una buona dose di pazienza». Perché infatti, contrariamente ad altre branche del restauro, chi si occupa di archeologia si trova spesso alle prese con minuscoli pezzi di non facile decifrazione. Qui sta il fascino di un'attività che, sotto la guida degli archeologi, vede rinascere alla vita testimonianze sepolte di un passato molto lontano. Ganduglia precisa come esista un percorso canonico negli interventi, ma ci sia anche la necessità di inventare soluzioni nuove: «Non tutti i reperti seguono lo stesso iter. Nel caso della ceramica, per esempio, si deve porre attenzione al tipo di impasto, che può essere più o meno delicato, per decidere come procedere con il consolidamento».
Un ulteriore problema è dato dall'eterogeneità dei materiali rintracciati negli scavi: cotto, vetro, osso, metalli, con procedimenti di restauro diversi. Inoltre, «se siamo di fronte a una sepoltura, gli oggetti possono trovarsi in frammenti, i pugnali avere la lama piegata, i vasi essere ridotti in cocci, ma ogni cosa è comunque localizzata in un posto circoscritto. Diversa è la situazione del contesto urbano, in cui, specie per i periodi più antichi, il materiale può aver subito una dispersione nel terreno su un'area vasta. Occorre eseguire una selezione molto approfondita, per cercare di ottenere gli elementi per una ricostruzione il più possibile fedele». Da una parte c'è l'esigenza di completare l'oggetto per metterlo nella vetrina dei musei, dall'altra gli storici si interrogano sulla sua funzione, per cui si deve riuscire a far "parlare" qualcosa che a volte, a prima vista, non è neppure scarsamente intellegibile. «Se il pezzo arriva dallo scavo, avvolto in un pane di terra o nel cellophane, sono indispensabili alcune operazioni preliminari. Va fotografato, descritto, si devono raccogliere dati e conservare alcuni materiali, come la terra nel caso di tombe per incinerazione».
La cura che si mette in questi passaggi può riservare autentiche sorprese come nel caso dell'elmo di un soldato gallico, scoperto in una tomba in Piemonte. «Sembrava un ammasso di ruggine e terra». Una pulitura complessa, con microsabbiatrice, ha invece rivelato come un paraguancia del copricapo fosse stato già "restaurato" dal suo proprietario. I passaggi successivi di un intervento comprendono la pulitura, l'asciugatura (all'aria, con lampade a raggi infrarossi o nella stufa), il consolidamento, ancora un'asciugatura, l'incollaggio con resine che devono consentire la reversibilità del restauro. «Tra un'operazione e l'altra, ci sono obbligatori tempi di attesa, che rendono il restauro archeologico piuttosto lungo».
Per ricostruire la forma di un manufatto, si comincia con il separare orli, fondi e pareti, suddivisi a loro volta in sottocategorie: diritti, concavi, convessi, sottili, rossi, neri, ecc. A poco a poco, con un procedimento inverso a quello seguito dall'artigiano che ha realizzato l'oggetto, si arriva al "prodotto" finito, assemblando i frammenti con opportune completamenti.
«Trent'anni fa l'integrazione doveva rimanere ben visibile e avere solo funzione portante. Ora si tende a far sì che il restauro sia sempre riconoscibile rispetto alle parti originali, ma l'oggetto deve anche potersi apprezzare da lontano nel suo insieme».
di ANNA ANSELMI