Martedì 30 Giugno 2009 - Libertà
Dix: «Vi racconto il "mio" Gaber»
Domani nel cortile del Farnese: «Prima volta sul palco da cantante»
Cantava Gaber nel 1974: «Un'idea, un concetto, un'idea, finché resta un'idea è soltanto un'astrazione, se potessi mangiare un'idea, avrei fatto la mia rivoluzione». La sua rivoluzione, che corre sul filo del pensiero e le note di una canzone, oggi non si è fermata. Continua anche grazie all'opera della Fondazione Gaber e di artisti capaci di dare voce al pensiero e al teatro canzone del Signor G.
Artisti come Gioele Dix che domani sera, alle 21.30, a Piacenza, nel cortile di Palazzo Farnese, presenta uno spettacolo dedicato a Gaber. Lo spettacolo, prestigioso appuntamento del Cavaliere Azzurro Festival inserito nel cartellone estivo del Farnese, si intitola Se potessi mangiare un'idea ed è un percorso tra le canzoni di Gaber, selezionate da un suo ammiratore speciale: Gioele Dix.
Un artista versatile ed eclettico (autore, drammaturgo, attore, ora anche cantante e regista), capace di usare il registro comico come un originale invito a mettere in moto il pensiero; capace di unire la levità dei suoi spettacoli al rigore della loro paziente costruzione.
Ha mai incontrato Gaber?
«Sono cresciuto come suo fan. Mi ricordo, quando ero bambino, quando stava in tv, ancora in bianco e nero. Era un cantante famoso, faceva "Canzonissima". Ma si vedeva già da allora che non era solo un cantante. I suoi brani erano già molto originali. Certo, non era ancora la grande scelta del teatro-canzone di inizio anni Settanta. Ma erano già canzoni dai contenuti forti, pur se ironici e divertenti, erano capaci anche di risvolti drammatici».
Cosa ha significato, in seguito, confrontarsi con lui come artista?
«Ci siamo incontrati due o tre volte. E lui è sempre stato alla mano, affabile. Il problema ero io: considerandolo da sempre un mito, mi sentivo inadeguato. Quando lui è mancato ho provato un dolore personale. Si è creata subito la Fondazione Gaber di cui sono socio onorario. E da allora partecipo sia al Festival a Viareggio, dedicato a lui, che nelle iniziative che si tengono a Milano».
Proprio in una di queste occasioni nasce lo spettacolo che vedremo nel cortile del Farnese a Piacenza?
«Sì: durante la manifestazione Milano per Giorgio Gaber, abbiamo proposto lo spettacolo all'Università Statale, in aula magna. Sì, ci siamo esibiti di fronte ad una marea di persone, giovani ma anche gaberiani cinquantenni travestiti da studenti («Nonno dei fiori» avrebbe detto Gaber). L'impatto è stato forte. Abbiamo scelto dodici canzoni, ora diventate tredici. Un modo per raccontare il "mio" Gaber, perché il suo repertorio è sterminato. Le sue canzoni costituiscono l'ossatura dello spettacolo, a cui aggiungo miei commenti, racconti e riflessioni sulla vita di oggi».
Qual è l'attualità di Gaber?
«Quando andavo volevo assistere ai suoi spettacoli, dicevo agli amici: "Andiamo a vedere cosa penseremo tra un anno", perché lui anticipava; diceva cose che in quel momento non eravamo ancora capaci di pensare. Lo stavamo per fare. E lui ci aiutava a farlo».
Gaber sta anche diventando "un classico", nel senso che il suo teatro, le sue canzoni, pure molto radicate nella realtà storica, non paiono invecchiare.
«Nel finale de L'attesa, che è una canzone quasi filosofica, si lancia un ponte verso il futuro. Si scommette su un futuro migliore, dove non arrenderci, dove è possibile il nuovo. Non è vero, come alcuni credono, che Gaber sia un pessimista. Non è vero che non fosse contento. Era semmai problematico, nel senso che non ha mai temuto la complessità».
Lei si sente erede di quel tipo di teatro che Gaber ha contribuito a creare?
«Sicuramente ne sono stato molto influenzato. Certamente ho sempre pensato che il teatro ha questa qualità speciale: che non è tanto solo il contatto con il pubblico, ma il fatto che il teatro ti costringe a mediare, a costruire un linguaggio diverso dalla realtà. Gaber e Franco Parenti mi hanno insegnato a farlo. Gaber nel suo teatro-canzone ci metteva sempre qualcosa di storto e di sghembo, ma attraverso quel modo ti dava la possibilità di leggere qualcosa».
Lei qui canta, per la prima volta in uno spettacolo.
«Cantare poteva essere la mia professione. Poi ho scelto l'attore, con grande dispiacere di mia madre. L'altra opzione era fare lo psichiatra. Forse avrei potuto diventare uno psichiatra cantante».
In «Se potessi mangiare un'idea», dove Dix spazierà dalle canzoni degli anni ‘60 fino agli anni ‘80 (da Goganga a Il conformista, da Il corpo stupido a L'amico), sarà accompagnato dai musicisti Silvano Belfiore al pianoforte e Savino Cesario alla chitarra. Il costo del biglietto è simbolico ed è di 7 euro. A fine spettacolo, degustazione di vini dell'azienda agricola Cardinali, accompagnati da frutta di stagione.
di DONATA MENEGHELLI