Venerdì 29 Maggio 2009 - Libertà
Stasera si parla delle lotte operaie
Con i sociologi Ciafaloni e Rieser
piacenza - Oggi alle 21 all'Urban Center (ingresso da via Scalabrini, 113 e dallo stradone Farnese) si parlerà de "Il 1969 e le lotte operaie", nell'ambito del ciclo di eventi a cura di Cittàcomune, collaterali alla mostra Il cielo in una stanza sugli anni del '68 a Piacenza nelle fotografie di Prospero Cravedi. Sono attesi i sociologi Francesco Ciafaloni e Vittorio Rieser, che vissero a Torino la stagione dei duri scontri tra sindacato, lavoratori e imprenditori. La condizione operaia e l'organizzazione del lavoro sono rimaste al centro dei loro studi.
Rieser, che come Ciafaloni ha collaborato ai "Quaderni piacentini", aveva partecipato con Renato Panzieri alla fondazione dei "Quaderni rossi" nel 1961. Ha pubblicato: Il difficile cammino del lavoro (con Vittorio Foa, Ediesse), Fiat: qualità totale e fabbrica integrata (con Giancarlo Cerruti, Ediesse), Fabbrica oggi: lo strano caso del dr. Weber e di Mr Marx (Sisifo), per citare solo alcuni titoli.
Ciafaloni, nato a Teramo, ma trasferitosi a Torino fin dagli anni '60, dopo un'esperienza di lavoro all'Eni come ingegnere, è stato redattore presso Boringhieri e poi Einaudi, lavorando in seguito per l'Ires Cgil del Piemonte. Membro del comitato di redazione dei "Quaderni piacentini", direttore della rivista "Ex machina", Ciafaloni è autore, tra gli altri, di Kant e i pastori. Ovvero: il mondo e il paese (Linea d'ombra) e dell'inchiesta I diritti degli altri. Gli stranieri tra noi (minimum fax).
Nell'incontro di questa sera, coordinato da Gianni d'Amo, si discuterà del passato, con lo sguardo rivolto anche al presente, perché - evidenzia Ciafaloni - non tutte le battaglie condotte allora sono andate a buon fine. «La tensione che si avvertiva quarant'anni fa su temi come la sicurezza nei luoghi di lavoro, la salute e la retribuzione è calata completamente e soprattutto - constata il sociologo - manca quella forma di controllo che prima veniva esercitata dall'operaio stesso».
Il riferimento va a questioni come la gestione dal basso della piaga della nocività delle industrie, oggetto a fine anni '60 di dibattiti, proteste e mobilitazioni. «In qualche caso si arrivò alla chiusura di fabbriche omicide. A Torino si riuscirono a raggiungere risultati concreti grazie alla collaborazione di operai, delegati sindacali e studiosi specializzati nella medicina del lavoro e gli epidemiologi della rivista "Sapere" di Maccacaro». Tra le drammatiche vicende evocate da Ciafaloni, quella della Ipca (industria piemontese dei colori di anilina), dove «erano le mogli degli operai a morire, perché lavavano le tute dei mariti». Storie alle quali si potrebbe accostare quella dell'Acna di via Tramello a Piacenza, ricordata sulle pagine di Libertà nel 2005 da Clelia Raboni, segretaria del settore "chimici" della Cgil dal 1971 al 1982.
Ciafaloni mette in luce anche altre eredità giunte dalla fine degli anni '60: «Il sistema pensionistico universalistico», per il quale venne organizzato un grande sciopero nel 1969, «la nascita del sistema sanitario nazionale, collegata alle lotte per la salute nelle fabbriche» e «la fine della separatezza tra torinesi e immigrati dal Sud, considerati un'unica classe operaia». Adesso, a fronte di miglioramenti oggettivi specie nelle industrie di una certa dimensione (per esempio, «le verniciature alla Fiat avvengono in ambienti in cui non ci sono persone a respirare i solventi»), Ciafaloni riscontra una riduzione dell'enfasi politica sulla sicurezza e dell'attenzione dei lavoratori stessi, che sono giovani o stranieri: «A fasciare le coibentazioni di asbesto vengono mandati i marocchini e i senegalesi che non hanno conosciuto le lotte degli anni '70 contro l'amianto». Gli operai dunque esistono ancora, ma «la grande frammentazione dei luoghi e dei datori di lavoro nella catena dei subappalti rende più difficile la solidarietà. Hanno problemi e contratti diversi, per cui faticano a trovare un terreno comune».
An. Ans.