Martedì 5 Maggio 2009 - Libertà
Tomassini tra diavoli "ghiottoni"
Con Zaggia in Fondazione per le letture della "Commedia"
piacenza - «Ne la chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni». E a simili "ghiottoni" si accompagna anche il pubblico del secondo appuntamento della rassegna Incontri con Dante organizzata dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano e curata da Pierantonio Frare della facoltà di Scienze della formazione della Cattolica. Sono i «diece demoni» della Commedia i protagonisti dell'incontro che si è svolto nell'Auditorium della Fondazione con Massimo Zaggia, docente dell'università di Bergamo: il realismo concreto e corporale con cui il Poeta li descrive torna a risuonare con potenza straordinaria nell'intensa lettura fatta dall'attore Stefano Tomassini. «Io vidi già cavalier muover campo»: inizia così il XXII° canto dell'Inferno, che con il precedente e parte del XXIII° costituisce un trittico di ribollente e dissacratoria comicità. Parodia, ironia e distacco sono i binari su cui si muove la narrazione di questo episodio, conosciuto come la "commedia dei diavoli": accompagnati dalla "decina" guidata da Barbariccia, Dante e Virgilio continuano il viaggio. Vicino a loro la palude di pece bollente in cui i barattieri stanno immersi per sfuggire agli uncini dei loro diabolici custodi: tutti tranne uno. Ciampolo di Navarra affiora e viene subito preso da Graffiacane: da qui parte il dialogo con Virgilio, a cui il barattiere rivela anche i nomi di altri suoi compagni di sventura. Alla fine è l'astuzia a prevalere: con un inganno Ciampolo si libera dell'uncino e abbandona i diavoli all'ira e alla conseguente zuffa.
«È una tenzone drammatica, quella che Dante presenta in questo canto» spiega Zaggia, «una battaglia tra i diavoli e i dannati che si risolve solo grazie alla malizia». E proprio questa furbizia, che ha ispirato le colpe dei barattieri in vita e i loro inganni dopo la morte, costituisce uno dei motivi principali della vicenda: lo dice chiaramente il Poeta, che non a caso nomina la "malizia" nei versi conclusivi del canto. Ma non è la sola traccia su cui la narrazione si compone: c'è il "ludo" che rievoca la rappresentazione teatrale e sintetizza il carattere scenografico di tutto l'episodio. Si compie così il rovesciamento carnevalesco dei valori della letteratura alta e tragica come l'eroismo, la disciplina militare, l'intelligenza e la guerra che qui si trasformano dichiaratamente in eroicomica, astuzia e rissa, espressi in tono volgare e dissacratorio. È la trivialità a regnare sovrana: la "buffa" delle ultime terzine, ossia la beffa, costituisce l'ultimo atto di una rappresentazione in cui la sacralità si rovescia ed il cristiano incontra, ancora una volta (e non sarà l'ultima) il pagano.
Betty Paraboschi