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Venerdì 10 Aprile 2009 - Libertà

«Ma il sogno resta Rollins»

Piacenza Jazz Fest: bilancio positivo, nonostante i tagli

piacenza - «Non lo nascondo: quando abbiamo iniziato a progettare il Piacenza Jazz Fest 2009, avevamo un po' paura che la nostra "creatura", al sesto anno di vita, corresse il rischio di imboccare la china discendente. Da una parte, sembrava un po' spento l'entusiasmo con cui gli appassionati avevano accolto il festival quando era una novità. Dall'altra, la Fondazione di Piacenza e Vigevano, l'indispensabile sostenitore che ogni anno rende possibile la manifestazione e che ringraziamo, così come ringraziamo il Comune, la Provincia e il festival jazz emiliano Crossroads, ha "tagliato" sensibilmente, per necessità economiche, il proprio contributo. Insomma, temevamo che potesse essere un Jazz Fest "minore". Invece è stato il contrario: un Piacenza Jazz Fest fatto di grandi soddisfazioni, che ha avuto una risposta di pubblico entusiastica».
Parola di Gianni Azzali, presidente del Piacenza Jazz Club, che commenta con legittima soddisfazione l'edizione appena conclusa - secondo molti appassionati, la migliore fino a questo momento - del Piacenza Jazz Fest organizzato dalla "sua" associazione.
Non si direbbe, a prima vista, un'edizione fatta al risparmio, anche perché è stata particolarmente ricca di eventi. Come avete fatto a permettervelo in un momento di "ristrettezze"?
«Abbiamo aperto le porte anche a esperienze diverse dal jazz: penso a un pianista innamorato della musica africana come Omar Sosa o al virtuoso brasiliano del mandolino Hamilton De Holanda. Queste scelte hanno permesso al Jazz Fest non solo di respirare "aria nuova", ma anche di allargare la propria base di pubblico senza scendere al minimo compromesso in fatto di qualità. Abbiamo voluto sperimentare, ospitando la "prima" mondiale di Let's get found, l'ambizioso spettacolo del trombettista Paolo Fresu su inediti del grande Chet Baker. A questo bisogna aggiungere i concerti di altri nomi di statura internazionale: Franco D'Andrea, Uri Caine, la giovane star Francesco Cafiso, la Lydian Sound Orchestra».
Più tanti eventi di contorno.
«Già: i tre concorsi nazionali "Chicco Bettinardi", "Note di donna" e la gara di fumettisti "Strisce di jazz", che ci hanno dato molte soddisfazioni. E poi l'anteprima con il pianista Danilo Rea, i concerti del Dopofestival, le master classes al Conservatorio dei solisti ospiti, una giornata di studi dedicata a Franco D'Andrea. E la novità di un reading "in tema": quello dello scrittore torinese Luca Ragagnin, che ha letto in pubblico, con grande successo, brani del suo Un amore supremo, uno dei più bei libri sul jazz scritti in Italia».
Qual è stato, per lei, il momento più emozionante del «Jazz Fest 2009»?
«Senza nulla togliere ai nomi celebri, devo dire che i brividi musicali più forti me li ha dati il giovanissimo Dario Carnovale Trio, un gruppo emerso dal concorso "Bettinardi" del 2008 e destinato, per me, a uno straordinario futuro. Voglio realizzare un Cd con brani di tutti i vincitori del "Bettinardi", perché il nostro concorso ha scoperto e lanciato talenti realmente grandi. L'emozione più intensa di tutte, però, è stata un'altra».
Ce la racconta?
«E' stato quando siamo entrati nel carcere delle Novate, con il gruppo di musica afro-cubana Gendrickson Mena Quintet, a fare un concerto per i detenuti, che hanno accolto questa "visita" con una felicità immensa. Uno di loro è anche salito sul palco a suonare la batteria: suonava bene ma con incredibile irruenza, come se avesse voluto sfogare tutta la frustrazione della vita in cella picchiando sui tamburi. Ricordo l'immagine alla Blues Brothers di un agente di custodia che batteva il tempo con il piede. Sul piano umano, è stata l'esperienza più intensa del Jazz Fest».
Progetti per le edizioni future?
«Più che progetti, due sogni. Chiamare al Jazz Fest Sonny Rollins, la più grande leggenda vivente del sax. E inaugurare a Piacenza la Notte Nera: una Notte Bianca in versione "afro"».

Alfredo Tenni

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