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Venerdì 27 Febbraio 2009 - Libertà

Cultura promossa Ma serve il marketing

A dispetto di quanto si dice, i piacentini appaiono piuttosto soddisfatti dell'offerta culturale della loro città. Nel tempo libero fanno sport (ben sopra la media nazionale), vanno al cinema (moltissimo i giovani), a teatro (soprattutto gli over 50) e ai concerti. Tutte attività che farebbero ancora più spesso, e volentieri, se solo ce ne fosse l'opportunità. In primis, a latitare sembra essere la proposta artistico-museale.
Ieri, alla Fondazione di Piacenza e Vigevano, alcuni esperti del settore si sono confrontati dati alla mano (quelli forniti dall'Osservatorio Socio Economico Provinciale che ha presentato il Rapporto 2008 sul sistema culturale piacentino, a cura del Laboratorio Economia Locale della Cattolica) e hanno avanzato alcune ipotesi. La sintesi sembra una: non va male, almeno non quanto si pensava e si percepiva, ma potrebbe andare molto, molto meglio. E la panacea sembra, una su tutte: un po' di sano marketing culturale.
Accanto a tanto coordinamento tra i soggetti promotori dell'arte, che guardano ad un pubblico più vasto di quello locale, e che osano puntare a quelle elites culturali che fanno chilometri per cibarsi di cultura ad alto livello. «Basta con le locandine musicali che paiono annunci funebri», ironizza Fabrizio Dorsi, direttore del Conservatorio Nicolini che spinge per un forte potenziamento della comunicazione. «A Piacenza, in realtà - fa notare -, c'è una buona fruizione degli spettacoli, ma si può migliorare». E poi ragiona sul Nicolini stesso. «Organizziamo circa un centinaio di manifestazioni all'anno, e spesso con personaggi di calibro, che poi restano sconosciute ai più. E un po' è anche colpa nostra», dice.
«E' ora di applicare tecniche che in altri ambiti appaiono normali: il marketing - continua -. Servirebbe svecchiare anche il sistema delle prenotazioni, potenziando l'aspetto on line. Oggi c'è poco tempo per fare le code in orari prestabiliti». E in una città a misura di bambino questa proposta sembra più che appropriata. «Penso ad un servizio di baby sitting, per andare ad incontrare quella fascia d'età, le coppie con figli, oggi sottostimate», aggiunge.
Un'altra parola che ieri ha trovato d'accordo molti degli esperti è stata: coordinamento. «Favorire l'interazione tra i soggetti ed evitare le sovrapposizioni di eventi. Dovrebbe essere l'ente pubblico a svolgere questo ruolo», conclude. Di diverso parere il critico saggista Eugenio Gazzola. «A sedersi attorno ad un tavolo dovrebbero essere tutti quei privati che credono che la cultura sia un agente di sviluppo e non un parassita», dice. Per lui la soluzione è guardare oltre i confini. «Piacenza ha i mezzi e i luoghi per soddisfare i gusti dell'elites, delle nicchie - spiega -. Dobbiamo incentivare il pubblico elitario».
E fa un esempio: «Penso ad un cartellone di musica contemporanea. Forse verrebbero dieci piacentini, ma cinquanta persone da fuori provincia». Anche se alla fine commenta amaro: «Io non vedo tutta questa corsa alla cultura a Piacenza».
Vittorio Anelli, presidente della Ricci Oddi appare confortato. «Questi dati ci danno fiducia. Un pubblico interessato con cui dialogare c'è. La città è solida dal punto di vista culturale», considera. Ma un problema c'è: «Piacenza per lungo tempo non ha deciso quale direzione andare», dice.
E se dal punto di vista della cultura si zoppica, lo sport corre. «Piacenza è al 16° posto per indice di sportività. Lo sport piacentino è in ottima salute ed è cresciuto soprattutto negli ultimi anni - dice Stefano Teragni, presidente del Coni -, ma le criticità ci sono e riguardano soprattutto i bambini». E' preoccupato Teragni. «I nostri bimbi non corrono e non sono coordinati, fanno poco sport a scuola e stanno tanto tempo davanti alla televisione», ricorda.
Alle elementari è la maestra che si incarica dell'ora di educazione fisica. Ma non basta. «Abbiamo lanciato un progetto "Giocosport" in cui i nostri istruttori sportivi affiancheranno le maestre nell'attività motoria - spiega -. Oggi c'è bisogno di un nuovo modello di istruttore sportivo. È la formazione che deve cambiare».

ILARIA MOLINARI

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