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Giovedì 26 Febbraio 2009 - Libertà

Mughini: «L'oggi è nato negli anni '70»

Incontro con il giornalista domani in Fondazione

piacenza - Giampiero Mughini, quarant'anni di vita vissuta senza far sconti a nessuno. Principalmente a se stesso. Domani alle 18 sarà ospite all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, a condurre questo incontro che s'inserisce nell'ambito dell'iniziativa "Scrittori italiani contemporanei", sarà il giornalista Giorgio Lambri. Mughini, un "bibliofolle" che racconta i più bei libri italiani del Novecento, nel suo ultimo libro, La collezione (Einaudi).
Confesso. Avevo letto, in passato, alcuni suoi libri, questo no. Mi sono avventurato in un'intervista sul suo ultimo lavoro, munendomi di recensioni e schede bibliografiche. Sono però caduto in trappola quando gli ho chiesto di Oswaldo Bot. Mi ha risposto - molto amabilmente - che i libri vanno letti. Ha ragione. E allora mi sono tuffato in questo suo ultimo lavoro, leggendolo dall'inizio alla fine e ho trovato la citazione su Bot, che «a Piacenza nel 1928 aderisce al futurismo e si autoproclama - scrive Mughini - capo del movimento futurista piacentino»; Mughini aggiunge che Bot «crea fiori in metallo e s'inventa uno dopo l'altro libri e riviste oggi reputate tra i cimeli i più in attingibili della bibliografia futurista».
Ma cos'è La collezione? Credete, si tratta di bel un romanzo sentimentale che attraversa la cultura del Novecento italiano, seguendo il filo delle prime edizioni, piccoli tesori che Mughini ha accumulato negli ultimi venticinque anni e ai quali è legata a filo doppio la nostra storia culturale. E allora il poliedrico e polivalente scrittore siciliano, trasferitosi a Roma nel 1970, parla di sé e dei suoi libri. Dei futuristi: «Ho cominciato a cercare - spiega - tra una bancarella e l'altra a quarant'anni, più di venticinque anni fa, i libri più belli del movimento futurista. Ho scovato stampe, scritti, opuscoli e tanti, tanti libri. Ne ho un migliaio». E tra questi ci sono anche i Disegni in libertà (1930-1950) di Bot, editi da Solaria. «Non pensavo al centenario del movimento futurista, quando ho iniziato a lavorare su questo libro, pensavo a dare corpo a una collezione che cerca di coniugare da anni, la rarità con la qualità». Ricorda chi l'avviò alla ricerca della personalissima biblioteca di Babele: «Fu Roberto Palazzi, un libraio antiquario che credeva nei progetti degli altri, anche ai miei, con la fiducia e l'entusiasmo che mai riservava ai propri».
Ma i libri per Mughini sono vita, aria che si libera nel cielo, il piacere di toccare una copia autentica e rara. E spiega: «Quando mi capitò tra le mani una copia de Il porto sepolto di Ungaretti, stampato a Udine in ottanta copie, provai una gioia immensa. Quel libro era stato una sorta di autopromozione, tant'è che il poeta lo aveva distribuito ai suoi amici». Libri rari e libri che hanno segnato un percorso nella storia della letteratura: «Gli sfortunati Canti Orfici di Campana, sono stati bruciati dagli inglesi per scaldarsi, ne aveva stampate un migliaio di copie, allora non era come oggi, l'industria culturale era lontana, non si pubblicava con tanta facilità e gli scrittori e i poeti si avventuravano in storie strane, pur di vedere i loro lavori stampati; Campana è uno dei poeti più interessanti della letteratura italiana, non un "poeta maledetto" ad ogni costo, ma semplicemente un poeta, vero, che voleva solo vivere per la poesia. Anche le fatiche editoriali di Svevo, nei suoi primi lavorio sono state proverbiali».
Mughini è un collezionista e un divoratore di libri, adora il cinema («Il prossimo film che vedrò sarà Gran Torino di Clint Eastwood») e la Juventus, conosce molto bene i propri percorsi generazionali, sui quali ha scritto un libro (La mia generazione): «Gli anni Settanta sono stati in Italia anni drammatici ma anche di grande trasformazione della società e del costume. Dalla bomba di piazza Fontana al rapimento e all'uccisione di Aldo Moro, mai una società occidentale aveva sopportato un tale stillicidio quotidiano di attentati, di bombe sui treni e nelle piazze, di agguati a magistrati e poliziotti, di omicidi dettati dall'odio politico. L'Italia si spaccò in due. Ma furono anche gli anni in cui l'onda lunga del Sessantotto mutò da cima a fondo il costume del Paese; rotto per la prima volta il monopolio pubblico dell'informazione via etere, le radio libere nacquero a migliaia per trasmettere i suoni cupi e crudi della metropoli moderna; avvenne la più riuscita delle insurrezione del secolo, quella delle donne; muri e volantini divennero le pagine di un ininterrotto romanzo della rabbia e del risentimento. Cambiava il modo di indossare una giacca, di arredare la casa, di fare delle foto pubblicitarie, di impaginare una rivista. E mentre nella politica italiana si affrontavano, per dividersi i voti delle sinistre, Enrico Berlinguer e Bettino Craxi, che hanno impresso le loro stimmate su un'epoca, nacquero i due contrapposti giornali-partito, "La Repubblica" di Eugenio Scalfari e "Il Giornale" di Indro Montanelli, che raccontavano a modo loro l'Italia piagata dall'inflazione a due cifre. Tutto quello che siamo oggi ha preso forma nei Settanta».

Mauro Molinaroli

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