Fondazione di Piacenza e Vigevano Stampa
  Rassegna Stampa
spazio
  Comunicati Stampa
spazio
  Eventi Auditorium Piacenza
spazio
  Eventi Auditorium Vigevano
spazio
  Comunicazione
spazio

 
Home Page     Rassegna Stampa   


Giovedì 12 Febbraio 2009 - Libertà

Bonadonna, guerriero contro la malattia

Nella platea gremita la toccante testimonianza diretta del dottore, la cui vicenda è contenuta nel libro del giornalista piacentino
Schiavi in Fondazione per raccontare la storia dell'oncologo amico colpito da ictus

Giangiacomo Schiavi e una storia fatta di profonda umanità e di una sensibilità autentica. Il giornalista piacentino, che da anni cura la rubrica "Dalla parte del cittadino" sul "Corriere della Sera", Ambrogino d'oro nel 2007 per i suoi articoli da un camper in viaggio nei quartieri di una Milano tutta da scoprire, tra marginalità, nuove povertà e gente che fatica ad arrivare a fine mese, ha accolto l'invito della Diocesi di Piacenza e Bobbio - Ufficio Pastorale della salute e, in occasione della XVII Giornata mondiale del malato, all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, ha raccontato, davanti a una platea gremita, una storia dai mille risvolti umani, scritta nel suo ultimo libro "Medici umani, pazienti guerrieri" (Baldini Castoldi Dalai Editore), che è poi la vicenda dell'oncologo Gianni Bonadonna, colpito da un ictus, ma presente ieri sera. E Bonadonna è stato applaudito per le sue toccanti parole, impastate di dolore, umanità vera, ironia e voglia di vivere malgrado tutto e nonostante tutto. Nella conversazione con Giangiacomo Schiavi, l'oncologo milanese ha dato tutto se stesso per una medicina che vada incontro ai pazienti, quasi a chiedere un nuovo esame per i giovani medici: quello di umanità. Coordinata con bravura dalla giornalista Tiziana Pisati, dopo il saluto del vicario generale della Diocesi Lino Ferrari, la serata ha regalato momenti di grande tensione emotiva.
Schiavi ha la grande capacità di immergersi in un mondo complesso, un cono d'ombra dal quale è difficile emergere. Soprattutto per Bonadonna, dimenticato troppo in fretta dall'Italia priva di memoria, di attenzione, di sensibilità verso chi soffre e che in passato è stato un punto di riferimento per tanti malati di cancro. Da oncologo ha cercato di lenire sofferenze e dolori con umanità e con attenzione verso i tanti pazienti. Una storia particolare, quella sentita ieri sera e raccontata da Schiavi, che fa riflettere e aiuta a pensare. E di questi tempi non è poco. Anzi è un tentativo di riportare l'etica al centro della professione medica, dalla parte del cittadino. Meglio sarebbe dire dalla parte dell'uomo. «La mia battaglia comincia ogni mattina imprecando - confida Bonadonna nel libro a Giangiacomo Schiavi - perché devo chiedere aiuto, perché è terribile pensare una cosa e dirne un'altra, perché non posso leggere e nemmeno scrivere. Imprecando allontano il dolore, aggiro lo sconforto, ritrovo i miei pensieri. Poi provo e riprovo i miei passi, accorcio i tempi di una frase, ricaccio indietro il disagio e l'imbarazzo di sentirmi inutile e ingombrante». Parole che fanno pensare: «Ho avuto un ictus. E allora? C'è indifferenza, disinteresse, è giusto così». E ancora: «Eluana? Tutti hanno fatto i loro comodi, hanno commesso una cosa orrenda. Per fortuna se n'è andata in silenzio». Lo stesso silenzio di Amleto. Perché a Bonadonna, quando non era stato ancora colpito da questa grave malattia, le citazioni piacevano, così come amava Shaekespeare.
Giangiacomo Schiavi, guarda l'amico Gianni con la dolcezza del cuore: «Io e Gianni Bonadonna - commenta - ci siamo trovati per caso. Lui cercava qualcuno che lo aiutasse a scrivere. Io volevo capire meglio il dietro le quinte della malattia, perché le corsie degli ospedali, come ha scritto un grande giornalista, Gigi Ghiotti, sono uno specchio della società. Bonadonna mi ha detto che per capire come dovesse essere un ospedale più umano dovevo prendere un ascensore e salire al settimo piano dell'Istituto dei tumori. Là c'è il reparto di oncologia pediatrica. L'ha voluto lui quel reparto e ha voluto anche che lì fossero i suoi allievi più bravi. Quelli che avevano empatia con il malato». Già, l'empatia, quel sottile feeling che avvicina l'uno all'altro, il medico al paziente e che è alla base della medicina umana. E aggiunge Bonadonna: «Per tanti anni i medici hanno avuto una profonda insensibilità». La gente in sala ascolta una lezione di vita.

Mauro Molinaroli

Torna all'elenco | Versione stampabile

spazio
spazio spazio spazio
spazio spazio spazio