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Mercoledì 10 Novembre 2004 - Libertà

Shorter, infrangendo la barriera del suono

Teatro municipale - Venerdì lo straordinario sassofonista americano in concerto per l'anteprima del Jazz Fest 2005. Il mito del jazz: "E ora sto lavorando al mio nuovo album"

"Quello che stiamo vivendo non è un buon momento per il jazz. Non lo è nemmeno in America, dove il jazz è nato. Per quanto riguarda gli attuali gusti del pubblico, in America la situazione è drammatica: le ultime due elezioni presidenziali vinte da George W. Bush ne sono la prova".
L'entourage di Wayne Shorter, il grandissimo sassofonista che dagli anni Sessanta a oggi ha scritto (con Miles Davis, poi coi Weather Report, poi da solista) capitoli fondamentali della storia del jazz e che venerdì 12 alle 21.15 suonerà per la prima volta a Piacenza in un eccezionale concerto al Teatro Municipale organizzato dal benemerito Piacenza Jazz Club presieduto da Gianni Azzali, ha avuto un bel ripetermi che il Maestro era stanco, di cattivo umore, poco amante delle interviste.
Invece Shorter, appena l'ho raggiunto al telefono in un hotel a Barcellona, si è mostrato cordialissimo, loquace, spiritoso fino a essere sulfureo, come nei giudizi, riportati in apertura, sul presidente del suo Paese ("Una disgrazia per l'America e per il mondo, con questa guerra senza senso"). Non scherza affatto, invece, negli elogi entusiastici ("La migliore band che io abbia mai avuto!") che dispensa a John Patitucci, l'immenso contrabbassista che si rivelò con Chick Corea, al pianista panamense Danilo Perez e a quella incredibile sintesi di Elvin Jones e Tony Williams che risponde al nome del batterista Brian Blade: i tre musicisti che hanno suonato con lui nei suoi ultimi album, il superbo Footprints live! e Alegria, e che suoneranno con lui anche al "Municipale". Con questo concerto, promosso con l'assessorato alla cultura, la Fondazione di Piacenza e Vigevano, la Fondazione Libertà e la Dei New Electric, il Piacenza Jazz Club offre un contributo di prima classe al duecentesimo anniversario del più glorioso teatro cittadino.

Il suo concerto piacentino ricalcherà, fin nel titolo, le performances di "Footprints live!". A proposito di quel disco, uscito due anni fa, mi sono sempre chiesto una cosa: perché un musicista come lei ha atteso così tanto a far uscire il suo primo album dal vivo come leader?
"Perché prima avevo sempre avuto altro da fare - risponde Shorter ridendo di cuore - Ci sono artisti, anche grandi, che non buttano via niente: guardi quanti film hanno girato Robert De Niro e Gene Hackman negli ultimi anni. Molti jazzisti fanno come loro. Io no: ho voluto pubblicare un album dal vivo solo quando ho pensato di avere raggiunto uno stadio in cui potevo ripercorrere tutta la mia carriera con uno sguardo diverso, in cui potevo suonare i miei pezzi vecchi dicendo cose nuove".
Lei ha scritto il suo nome nella storia come è accaduto a pochi altri jazzisti: tra gli anni Sessanta e Settanta, non c'è quasi disco cui lei abbia posto mano che non sia diventato una pietra miliare. Quali sono gli episodi di cui è più orgoglioso?
"Più che dei dischi, tendo a essere orgoglioso delle singole composizioni che ho firmato: "Nefertiti" su tutte, forse".
Per gli ascoltatori di tutto il mondo il suo nome è associato a quello di Miles Davis, di cui lei fu il braccio destro nei grandi dischi "acustici" degli anni Sessanta e nella clamorosa svolta "elettrica" di "In a silent way" e "Bitches brew". Che ricordo ha di lui?
"Di Miles? Voglio raccontare un episodio che non dimenticherò mai: suonavo allo Hollywood Bowl di Los Angeles il 25 agosto del 1991, la sera del mio compleanno. Miles mi raggiunse dopo il concerto, mi mise le mani sulle spalle, mi guardò negli occhi e mi disse (imita il sussurro rauco di Miles Davis nei suoi ultimi anni, ndr): "Wayne, tu dovresti essere messo in mostra". Voleva dire, nel suo linguaggio da oracolo, che dovevo fare un disco con la mia nuova musica, che dovevo raggiungere il pubblico più vasto possibile. Era un uomo di estrema generosità, completamente diverso dall'accentratore che hanno descritto".
Lei ha fatto molto per guadagnare al jazz "il pubblico più vasto possibile": è stato tra i primi a saper parlare anche alle platee rock.
"Negli anni Sessanta era così, nei Settanta ancora di più. Ma oggi noi jazzisti abbiamo solo un pubblico di habitués: la massa degli ascoltatori è incatenata a Britney Spears, a Madonna. Il disco che sto incidendo vuole essere una ribellione a questo stato di cose".
Ce ne parli.
"Ci saranno gli stessi musicisti che che lei ascolterà a Piacenza: una squadra che vince e che non voglio cambiare. Il disco si intitolerà "Breaking the sound barrier", "Infrangendo la barriera del suono". Sente che bello? (ripete il titolo con voce cavernosa, ndr) Non sembra il titolo di un film di fantascienza? (ride, ndr). E sa dove passa la vera "barriera fra i suoni" che rende la gente insensibile al jazz e alle altre forme di bellezza?".
No. Dove passa?
"Passa per il governo. Per Wall Street. Per le grandi corporations con sede in Madison Avenue. Passa per le televisioni. Passa per il conformismo indotto dal mercato, che rimbambisce la gente e chiama tutto questo "libertà". Ma la vera libertà non sta in tv, sta nella testa di ciascuno di noi".

Alfredo Tenni

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