Giovedì 19 Febbraio 2009 - Libertà
Regole e legalità, la sfida educativa
Il vescovo Ambrosio: c'è un patrimonio da trasmettere ai nostri giovani
Educazione, quel filo che si tramanda di generazione in generazione
In Fondazione un convegno organizzato dalla Pastorale giovanile sul futuro pedagogico dei ragazzi. Reggi: «Cultura, politica, impegno sociale: i capisaldi per i cittadini del domani». Maurizio, giovanissimo pianista di dieci anni, è concentrato. Nelle sue mani scorrono mentalmente i contrasti armonici di Vivaldi, che tra poco, di fronte al silenzio della sala, riprodurrà. Le dita fluiscono fulminee, rapide, sulla tastiera invisibile proiettata dalla sua mente. Non è ancora di fronte al piano, eppure ogni nota ha già un suono. Ogni nota è già conosciuta.
Il vescovo monsignor Gianni Ambrosio lo osserva. Coglie l'essenza, profonda, di quel gesto meccanico: «Ecco, vedete, questa è l'educazione. Da un lato c'è la memoria, da un altro lato c'è la sua attuazione. È molto semplice, elementare. L'educazione passa attraverso una frase, una mano amica: sono queste le piccole cose decisive per la nostra vita».
Uno spunto, una metafora lieve. Un'immagine offerta dal ragazzino che, con innato talento, ha concesso un intermezzo musicale tra un intervento e l'altro.
Si è aperto così, ieri, nell'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, il convegno "La questione educativa", promosso dall'Ufficio diocesano di pastorale della scuola. Davanti a decine di studenti, con la moderazione di Sergio Lomi, sono affiorati riflessioni e pensieri sull'universo formativo, macrocosmo sociale che cuce sogni, speranze, aspettative. E tesse, continuamente, il dialogo tra epoche e persone: «C'è un patrimonio musicale, culturale, spirituale da trasmettere - continua nel suo intervento iniziale il presule piacentino -, e ciò comporta anche qualcosa di straordinario, ovvero "il mistero dell'educazione».
Le Scritture ci insegnano che se un seme viene piantato, alla fine cresce, non importa se non lo si è seguito in ogni istante». «Questo processo - prosegue il vescovo - nasce dalla relazione. Senza passaggio, senza trasmissione, non c'è vita. Senza memoria tutto è triste». C'è bisogno, dunque, di «trame, di racconti, nell'epoca delle "passioni tristi": si deve ridare il giusto valore al rapporto». Sono i legami, suggerisce monsignor Ambrosio, «a darci un senso di appartenenza, la verità su noi stessi».
Di relazioni, lo sa bene il sindaco Roberto Reggi, è fatto un centro abitato. E proprio il primo cittadino guarda la "questione educativa" con l'occhio attento di chi, ogni giorno, ha il compito di formare i nuovi cives. «Siamo la terza città in Italia per presenza sotto i 15 anni di bimbi stranieri - sottolinea Reggi -. Questo comporta delle criticità. Bisogna garantire che le scuole funzionino, ci siano validi educatori, e, soprattutto, si dia la cultura della legalità, in un periodo dove pare che a non rispettare le regole la si faccia franca». I risultati, così, arrivano: «Nel sistema formativo piacentino, il tasso di dispersione scolastica è tra i più bassi d'Italia», chiosa il sindaco. A ciò si aggiungono altri impulsi; stimoli che possono venire dai «musei, dai teatri», per plasmare la «sensibilità artistica e culturale» di coloro che saranno "bravi cittadini".
Ci sono gli oratori, validi punti d'aggregazione che «il Comune sostiene economicamente con la Diocesi», avvalendosi della loro "competenza" educativa. In più, c'è la politica: «È un'attività di altissimo valore - afferma Reggi -, che ricerca il bene comune, e il Consiglio comunale dei ragazzi va in questa direzione».
Fondante, infine, è il ruolo della scuola. Un'istituzione, indica Gianna Arvedi, preside del liceo Gioia, «più autorevole che autoritaria», che deve portare i ragazzi alla «conquista del senso delle regole», in cui si agisca sulle «motivazioni, sull'esercizio delle responsabilità, risvegliando la voglia di apprendere».
I giovani, cita la dirigente scolastica, «non sanno ascoltare, però vedono»: qui si pone la sfida agli educatori, che devono trovare «il coraggio del confronto», per giungere «a una visione pedagogica condivisa, a elementi comuni d'insegnamento».
Alessandro Rovellini