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Giovedì 19 Febbraio 2009 - Libertà

«Piazza Cavalli? Per sistemarla ci vuole gusto»

Lo storico dell'arte Paolucci domani in Fondazione parlerà dei Musei Vaticani

piacenza - Lo storico dell'arte Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, già Soprintendente speciale per il Polo Museale Fiorentino e Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Toscana, ministro per i beni culturali del governo Dini, sarà a Piacenza domani sera alle 21 alla Fondazione di Piacenza e Vigevano, in via S. Eufemia 12, per parlare di: I Musei Vaticani e il ruolo dell'arte nell'economia nazionale, nel nuovo ciclo della serie Testimoni nel tempo.
Professor Paolucci, in questi giorni Piacenza si interroga sulle sorti di piazza Cavalli. Il restauro di un luogo che storicamente è il cuore civile della città può restare solo una faccenda tra esperti?
«No, macché esperti. Credo che nessun cittadino di Piacenza sia disposto a lasciare la sua piazza, il luogo identitario della città, agli esperti: sarebbero da buttare nel Po gli esperti, se volessero privatizzare per la loro cultura e i loro usi la piazza, che deve essere di tutti. I cavalli, posti alla fine della Via Emilia, di fronte al Grande Fiume, sono straordinari perché sono cavalli scalpitanti, irrequieti, presi dal vento. Bisognerebbe venire apposta a Piacenza solo per vederli».
Quali le tappe da seguire per un intervento a regola d'arte in uno spazio così?
«Non è questione di tappe. Ci vuole la premessa, la precondizione alle tappe. Chi fa il progetto deve aver letto molti libri, visitato molti musei, avere gusto. Solo dopo vengono le tappe».
Quanto è cambiata la mentalità nei confronti della conservazione dei beni culturali negli ultimi 30 anni, in cui si è assistito, tra l'altro, alla nascita di un ministero "ad hoc"?
«In positivo. C'è più attenzione, più sensibilità diffusa».
Come dovrebbe avvenire la formazione di cittadini più consapevoli del valore del patrimonio culturale?
«I cittadini italiani quando avevano, se l'avevano, la terza elementare ci hanno lasciato in eredità le piazze più belle del mondo. Non è questione di essere istruiti più o meno. È una questione di gusto, quello dei popoli che hanno costruito la bellezza dell'Italia storica. Gli intellettuali sono importanti, per carità, però usiamoli con discrezione».
Fino a che punto è lecito che le leggi dell'economia influenzino la gestione di un museo?
«È l'economia che ha bisogno della bellezza, non il contrario. Quella del patrimonio non è una fruttuosità meramente economica. È qualcosa che entra nella pelle della gente. È propria dell'Italia l'artisticità che si esprime nei manufatti, nella moda, nell'arredo, nello stile di vita, perfino nella gastronomia. Tutto questo è un riverbero della bellezza che abita le piazze. I cittadini italiani, finché vivranno dentro la bellezza, potranno produrre cose belle, quindi competitive nel mercato globale».
Anni fa, l'allora direttore della National Gallery si era dichiarato favorevole all'ingresso gratuito nei musei, per consentire ai suoi concittadini di entrare liberamente ad ammirare il quadro preferito. È un'utopia irrealizzabile?
«Nelle grandi città, come Parigi, Londra, Firenze, Roma, i cittadini si sentono espropriati dei loro musei, che sono dei turisti. Non ci vanno più. Li considerano un fruttuoso investimento che produce quattrini. E questo è deplorevole. Quello però che non si può fare nelle grandi città, si può fare nei piccoli musei, nelle città minori, come Piacenza. In Italia i musei sono stati pressoché gratuiti fino a una trentina d'anni fa. Oggi andare agli Uffizi costa come andare al cinema. L'idea del museo è stata omologata a quella del tempo libero, della gita domenicale: quindi è spettacolo, il che non va bene. Il museo è una biblioteca di figure. Capire un quadro antico, è difficile come capire un sonetto di Shakespeare o una novella di Cervantes. La gente non lo sa, guarda le figure, i colori, poi va via, non ha capito e non ricorda niente. Non si può diventare colti divertendosi, lo si diventa faticando, studiando».

Anna Anselmi

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