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Domenica 15 Febbraio 2009 - Libertà

L'arte contemporanea, come comprenderla

In Fondazione l'esperto Francesco Bonami ha affrontato anche il rapporto tra arte e mercato

Perché l'arte contemporanea è davvero arte? Questo tentativo di categorizzazione "a tutti i costi" che metta tutti a tacere e tutti d'accordo ha animato diatribe a volte chiuse in torri d'avorio, altre volte nate spontaneamente nel bar. Ci sarà sempre un paradigma dominante, un canone forte, centripeto e ci sarà sempre la spinta propulsiva all'innovazione. L'arrivo dei conigli Cracking Art a Piacenza è stato esempio di come si potesse creare molto rumore intorno a una definizione: arte o divertimento? La mostra Italics, ospite a Venezia a Palazzo Galli fino al 22 marzo e organizzata da Francesco Bonami sugli ultimi 40 anni di arte italiana, porta come sottotitolo "tra tradizione e rivoluzione". Due facce della stessa medaglia, in bilico e in discussione. Quante volte infatti si è sentito dire di fronte a un'opera d'arte contemporanea «Lo potevo fare anch'io»: questo è non a caso il titolo del libro di Bonami presentato all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano.
L'autore fiorentino, direttore Whitney Biennial di New York, della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, curatore del Museo d'arte contemporaneo di Chicago e direttore della Biennale di Venezia nel 2003, è stato presentato da Eugenio Gazzola come «un personaggio dinamico e creativo ai vertici del sistema artistico internazionale; nel bene e nel male». L'ultima precisazione nasce dal fatto che Bonami è stato definito dal filone più storicistico della critica come superficiale, collezionista: «E' vero, guardo all'arte nella sua contemporaneità - ha commentato Bonami con sguardo toscano, ironico e sprezzante - ma non faccio collezionismo, non guardo l'arte per possederla». Il concetto di contemporaneo tende infatti ad annichilire l'arte dell'oggi, non c'è distanza critica: il pensiero scivola subito tra le acque impressioniste del Salone dei "rifiutati" arrivando al celebre quanto dibattuto orinatoio capovolto di Duchamp.
Bonami ha tentato di dare una definizione affascinante dell'artista concepito come «colui che crea una soglia tra gli oggetti della quotidianità e l'interpretazione». Impossibile infine evitare la domanda sul rapporto tra arte e mercato: «C'è una percezione viziata su un meccanismo che è stato eccessivamente demonizzato. Economia, arte e committenza sono sempre stati fattori tra loro integranti. A differenza del passato però oggi ci sono la moda, il sistema delle comunicazioni, l'"eventocrazia" che guarda soprattutto all'ossessione per i numeri più che alla qualità» ha risposto Bonami. Com'è possibile quindi che in Italia artisti qualitativamente significativi si siano ripiegati su se stessi? «Mentre altre nazioni hanno curato l'espansione di una rete museale capillare tra gli anni '50 e '70, l'Italia ha abbandonato molti artisti a loro stessi o al sistema di mercato: il museo offre all'artista l'opportunità di rischiare, la galleria quella di vendere» ha concluso Bonami suscitando numerose domande tra il pubblico.

ELISA MALACALZA

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