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Sabato 24 Gennaio 2009 - Libertà

Il "come eravamo" della Piacenza di carta

in fondazione Giangiacomo Schiavi, Adolfo Fiorani, Vito Neri e Ludovico Lalatta sfogliano l'album dei ricordi
Colorito amarcord tra nostalgia e confronti, aneddoti e personaggi "mitici"

Parole di carta. Solo il titolo di una conferenza o un riferimento storico a un periodo particolarmente beato della nostra vita? O forse, più semplicemente un dialogo nei sentimenti e nelle regole di un giornalismo d'altri tempi, raccontato ieri sera da quattro professionisti della carta stampata: Giangiacomo Schiavi, capo redattore al "Corriere della Sera", Adolfo Fiorani, ex cronista del quotidiano di via Solferino, Vito Neri, per tanti anni a "Libertà" nonché per diverso tempo alla direzione di un periodico, "Settegiorni", e Ludovico Lalatta, una vita al quotidiano di via Benedettine. Il tutto sotto la regia di Stefano Pareti, nell'ambito di un'iniziativa promossa dagli Amici del Romagnosi all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano.
Serata dai toni accesi, dalle mille sfaccettature, dai sentimenti che vanno e vengono quando la nostalgia non è più quella di un tempo ma è memoria oltre che storia, e il viaggio è dentro di noi. Dentro alla nostra anima, intesa come luogo del ricordo. Serata di confronti e paragoni tra la città e i giornali di allora e il mondo dell'informazione ai giorni nostri. È come se Schiavi & C. avessero scritto, attraverso i loro ricordi, alcune pagine di un libro profondamente vero, cogliendo il temperamento e la cultura di Ernesto e Marcello Prati, ma anche la vita difficile di chi era fuori dal colosso di via Benedettine, vale a dire Adolfo Fiorani, che prima di approdare all'Avanti e al Corriere ha "galoppinato" per l'anarchico "libertario" Guido Fresco, direttore de "La settimana" alternativa, insieme a "Piacenza Oggi" (altro giornale in cui Fiorani ha collaborato sotto la direzione di Enio Concarotti) a "Libertà", ogni lunedì. Un tuffo nella Piacenza piccolo borghese rintanata nel proprio orticello, però desiderosa di cambiare pelle di fronte al boom economico.
La serata si è articolata in un doppio binario, cogliendo i tratti di un giornalismo in cui, come ha detto Vito Neri, e ha ribadito Ludovico Lalatta, «prima di scrivere di un incidente d'auto o di un fatto di nera, ci si poneva dalla parte di chi era stato vittima di questi episodi». Insomma, un giornalismo dal volto più umano oppure un modo di scrivere più prudente. E allora gli aneddoti e le citazioni si accavallano: Ernesto e Marcello Prati, Ninino Leone e Giacomo Scaramuzza, «coloro che facevano il giornale», è stato detto. Frammenti di una professione difficile, soprattutto in provincia: «Cominciammo a mettere il nome e il cognome di chi era stato protagonista di una rissa o di un furto - ha spiegato Fiorani - ma spesso capitava che in redazione si presentasse qualcuno che minacciasse di darcele di santa ragione. Del resto quando abbiamo fatto questa scelta è perché molti ci chiedevano di conoscere anche i protagonisti di fatti di cronaca».
Punti di vista differenti, da un lato la proverbiale prudenza di "Libertà", dall'altro l'atteggiamento più spavaldo dei settimanali di allora. Ma il quotidiano di via Benedettine è il testimone imprescindibile per comprendere una Piacenza che ha mutato pelle con il tempo, che ha cambiato il suo modo di essere senza mai ripudiare le proprie radici. E neppure Schiavi rinnega nulla. Anzi i ricordi si fanno dolci quando racconta dei suoi primi resoconti da Gragnano, o quando Lalatta pesca dalla memoria aneddoti su aneddoti, dal pero di Mamma Rosa alla giudiziaria, senza trascurare l'umanità di un sindaco come Felice Trabacchi.
Che altro dire, una serata tra emozioni e ricordi, con un video in bianco e nero realizzato da Giuseppe Curallo e Mario Di Stefano che ha riproposto scorci di una Piacenza che non c'è più. E poi una sala quasi gremita, con tanta gente desiderosa di ascoltare, di capire quel giornalismo fatto di farraginose macchine da scrivere, lontane anni luce dal copia-e-incolla. E "Libertà" come elemento di paragone, sempre.

Mauro Molinaroli

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