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Lunedì 8 Novembre 2004 - Libertà

Il cimitero, "custode" dell'arte

Presentato alla Galleria Ricci Oddi il libro di Marco Pizzo "Un museo per la morte". Un invito a valorizzare gli aspetti monumentali

Aprendo la presentazione del volume di Marco Pizzo "Un museo per la morte" - appena uscito per i tipi della Biblioteca Storica Piacentina - che si è tenuta ieri mattina nell'aula didattica della Galleria Ricci Oddi Stefano Fugazza ha citato Ceronetti che confessa di "non trovare luogo più ridente o ospitale del cimitero" e ha letto un passaggio del libro "Guida ai cimiteri d'Europa" (Stampa Alternativa) in cui si ricorda come i cimiteri siano veri e propri musei all'aperto, giardini, luoghi di meditazione e pace, custodi delle origini di una comunità. Questo di fatto l'argomento, e cioè la possibilità di affrancare anche il camposanto di Piacenza dalla connotazione propria di luogo del rito e valorizzarlo per i suoi aspetti monumentali, come già si fa altrove. Ha poi preso la parola Alfonso Panzetta, storico dell'arte e docente a Bologna, che già nel 1989, licenziando la prima edizione del suo fortunato dizionario della scultura italiana otto-novecentesca, avvertiva nella premessa di come i cimiteri andassero considerati palinsesti artistici organici all'aria aperta. Questo gli ha procurato qualche dissapore in ambito accademico, perché evidentemente i tempi non erano maturi. Lo sono invece oggi, ha spiegato lo stesso Panzetta, visto che in ambito europeo la valorizzazione della scultura funeraria è ormai un dato acquisito e tutte le più grandi città si sono dotate di gallerie apposite e hanno approntato percorsi di visita spesso al seguito di guide competenti. Questo insegnamento viene recepito in ritardo in Italia, dove ancora vent'anni fa la legge imponeva che una volta scadute le concessioni le tombe venissero distrutte di fronte a un notaio, causando perdite di opere di cui oggi non possediamo che scarse documentazioni fotografiche. Le cose sembrano migliorare solo ora: le opere non vengono più distrutte ma accantonate, i cimiteri poco a poco si stanno attrezzando per essere agevolmente visitati. Panzetta ha poi ricordato come a fianco di artisti lombardi, liguri e toscani ci fossero diverse botteghe a Piacenza in grado di offrire realizzazioni ottime: i nomi da ricordare sono quelli di Pietro Daveri, Giacomo Zilocchi, Pier Enrico Astorri, Giuseppe Perotti. Marco Pizzo ha illustrato il taglio del suo volume, che sceglie fior da fiore invece di offrire una schedatura completa degli oltre mille monumenti, e ha messo in luce come un lavoro di valorizzazione della realtà cimiteriale non si possa fare senza una larga ricognizione negli archivi comunali che sono spesso, purtroppo, lacunosi e di difficile consultazione. Ancora più rari i casi in cui i discendenti di artisti abbiano conservato carte utili allo studio. Ma il lavoro va fatto, con coraggio e una certa dose di dedizione, perché il cimitero è già di per sé un museo, e anzi il museo più frequentato che esista, in cui convergono tutte le persone e non solo gli appassionati d'arte come avviene normalmente. Perché dunque non rendere massimamente fruibile una realtà che è, di fatto, già così centrale nella vita di una comunità? Pizzo ha inoltre parlato del trend attuale, secondo cui si perde il valore della sepoltura come momento in cui rendere immortale il ricordo del defunto. Di fatto, dice citando Adorno, dopo la seconda guerra mondiale la morte diventa un fatto di massa che cancella l'identità e i campi di sterminio ci hanno tolto il privilegio e la bellezza dell'ultimo passo. Vittorio Anelli ha infine caldeggiato tutti gli interventi possibili da parte del Comune di Piacenza e di Tesa a favore del cimitero, ma già la partecipazione di queste due realtà, unitamente alla Fondazione di Piacenza e Vigevano, alla realizzazione del libro fa ben intendere come ormai le cose si siano messe in moto nel migliore dei modi.

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