Lunedì 1 Dicembre 2008 - Libertà
Parla l'autore del libro "Io c'ero" che sarà giovedì a Piacenza con Bice Biagi per ricordare il grande giornalista a un anno dalla scomparsa
Un anno dopo la scomparsa, due libri raccontano la figura di Enzo Biagi, grande giornalista. In viaggio con mio padre (Rizzoli), che è il diario di Bice Biagi, il racconto di un personaggio che per lei "è soltanto un papà" e Io c'ero, anch'esso edito da Rizzoli, l'antologia del Biagi giornalista, curata da Loris Mazzetti. Entrambi saranno giovedì 4 dicembre alle 21 alla Fondazione di Piacenza e Vigevano nell'ambito dell'iniziativa "Ricordando Biagi".
Mazzetti è stato accanto a Biagi in questi anni. Ha avuto un ruolo importante nell'ambito del programma Il Fatto, resta ed è il biografo del grande giornalista del Novecento. Ha raccolto gli articoli più significatici e li ha messi insieme in un'antologia che racchiude eventi, storie, personaggi, avvenimenti del Novecento e dei primi anni del Terzo millennio, con pazienza certosina e con un lavoro davvero grande. «Il mio sogno era quello di lavorare con Enzo - dice - alla fine degli anni Settanta ero in Rai a Milano per ultimare un mio film e la mia postazione era proprio davanti alla sua. Biagi stava montando la sua inchiesta Douce France e quindi, avevo modo di sentire le interviste a Mitterrand, Giscard d'Estaing, Chirac, Pierre Cardin, Yves Montand, all'attrice Anouk Aimée, al regista Francois Truffaut e a tanti altri personaggi della Francia del secolo scorso, un Paese suggestivo e ricco di grandi personalità. Sentendo quelle voci, ebbi come la sensazione che con lui avrei potuto incontrare i grandi personaggi, viaggiare per il mondo insieme a lui. Ed è stato così che è nato il mio grande sogno».
«Oggi più che mai - prosegue - ho la netta sensazione che il giornalismo di Enzo Biagi sia stato straordinariamente innovativo e abbia dato spazio soprattutto alle storie della gente: quando ha lavorato a Epoca ha inventato la critica televisiva, le lettere al direttore; al Resto del Carlino ha dato vita al supplemento con i programmi tv; con Il Fatto ha rivoluzionato il linguaggio televisivo. E' stato l'unico giornalista in grado di coniugare il linguaggio televisivo con quello scritto, cosa che non riuscì a gente del calibro di Bocca e Montanelli, due grandi del Novecento. Ha realizzato anche un record tutto suo: la politica lo ha fatto licenziare da ogni giornale che ha diretto. Fu cacciato da Epoca per aver scritto un editoriale dal titolo "Dieci poveri inutili morti", dopo i fatti di Reggio Emilia durante il governo Tambroni. Stessa sorte al Resto del Carlino per aver difeso due giornalisti accusati di essere comunisti. Disse all'editore, che gli chiedeva di cacciarli: «Deve cominciare da me, perché io non lo farò mai». Sapeva proteggere i suoi redattori, e lo faceva con grande professionalità, la stessa che aveva quando scriveva. In tv la goccia che fece traboccare il vaso arrivò quando, dopo un incidente ferroviario, telefonarono in redazione perché fosse mandato in onda un telegramma di solidarietà ai familiari delle vittime inviato dal presidente del Consiglio. Biagi rispose che era un giornalista, non un postino, il telegramma non venne letto ed Enzo se ne andò. Poi con l'editto bulgaro fu messo nelle condizioni di lasciare la Rai. Perché Berlusconi voleva Biagi ad ogni costo nelle sue reti, ma Enzo si negò sempre, non cadde mai nella tentazione di passare dalla parte del Cavaliere. Tenne - sempre e comunque - la propria dignità. La sua storia professionale è un esempio per chi vuole intraprendere questo mestiere: dalla politica ha saputo farsi dare del lei. Sempre».
Mazzetti racconta anche come ha iniziato a collaborare con Biagi: «Aveva due studi, entrambi a Milano. Uno sopra la libreria Rizzoli in Galleria Vittorio Emanuele e uno alla Rai, al quinto piano di corso Sempione; aveva un'unica redazione, quella con cui realizzava le sue trasmissioni, e una straordinaria segretaria, Pierangela Bozzi, nel suo studio in Galleria. Fu proprio lì che ebbi modo d'incontrarlo per la prima volta: fu l'inizio di un lungo viaggio. Ricordo che Enzo mi disse che bolognesi devono darsi del tu, non del lei. Capii che quello era il primo passo verso la nostra amicizia. Per me un sogno che si avverava, che diventava realtà».
Era un lavoratore infaticabile: «Tre volte in sala operatoria per ragioni di cuore. La seconda volta coincise con la morte di Papa Luciani e Biagi scrisse, mentre era in rianimazione l'editoriale per il Corriere della Sera. In quei momenti di grande difficoltà, ricordava spesso le parole di Federico Fellini, suo grande amico: "Enzo, pensa al prossimo lavoro che devi fare". Mi parlò spesso della sua vita da partigiano. Era orgoglioso di quel periodo: diceva che era stato il più importante della sua vita. Negli ultimi anni lo ripeteva spesso. E i partigiani che erano stati insieme a lui, erano i suoi amici mascalzoni. Quando accadeva qualcosa che metteva in discussione la sua permanenza in Rai, diceva di avere avuto a che fare con Hitler e Mussolini, e che forse, non era il caso di preoccuparsi di questo. Un giorno lesse su di un giornale un titolo che citava le parole di un ministro che affermava che avrebbe preso provvedimenti nei suoi confronti. Telefonò. Passando per segreterie, segretari particolari, portavoce, arrivò finalmente al ministro al quale disse che da giovane era rimasto chiuso in una stanza con una pistola di un soldato tedesco puntata alla testa, e che non si sarebbe certo preoccupato per le sue prese di posizione. Parlava di Piacenza e ricordava Filippo Chiappini Dattilo e l'Antica osteria del Teatro e il professor Giancarlo Mazzocchi».
«Il suo carattere era soggetto a sbalzi d'umore - conclude Mazzetti - verso le nove, Biagi arrivava in redazione, appoggiava su una scrivania un cabaret con le brioches e andava nel suo ufficio. Quando era scuro in volto le riunioni iniziavano sempre con un grande silenzio. Alla prima battuta, l'atmosfera cambiava e lui tornava a essere il "nonno", mai il "direttore"».
MAURO MOLINAROLI