Mercoledì 3 Dicembre 2008 - Libertà
«Io, economista e narratore»
Giorgio Ruffolo stasera in Fondazione
Piacenza - Economista di formazione, ma narratore nello spirito. Giorgio Ruffolo approda a Piacenza. Segretario generale alla Programmazione economica fino al 1975, ministro dell'Ambiente dal 1987 al 1992, deputato del Partito socialista italiano alla Camera, senatore della Repubblica e deputato al Parlamento europeo. Ma anche scrittore ed autore di un romanzo, Il cavallo di Federico, edito da Mondadori e «incentrato sull'interessante storia di Federico II», spiega Ruffolo, che sarà ospite nell'auditorium della Fondazione di via Sant'Eufemia stasera alle 21, nell'ambito degli incontri della rassegna dedicata agli Scrittori italiani contemporanei e organizzata dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano (dopo gli interventi di Marco Lodoli e Tommaso Pincio).
Un economista fra le voci più recenti ed autorevoli della narrativa? E' lo stesso Ruffolo a risolvere il dilemma.
«Sono due occupazioni altrettanto interessanti - spiega - e soprattutto per nulla incompatibili. Ci sono stati tanti economisti che si sono dedicati alla letteratura: basti un nome per tutti, come quello di Keynes. Per quanto mi riguarda poi alla narrativa mi sono avvicinato con un solo romanzo. Ho scritto vari articoli e contributi sulla storia dell'economia che considero incredibilmente interessante e sull'attualità».
E in effetti la produzione di Ruffolo vanta un ricchissimo carnet di titoli: da La grande impresa nella società moderna (Einaudi) al Rapporto sulla programmazione edito da Laterza, da La qualità sociale (di nuovo Laterza) al Riformismo e capitalismo globale, Cuori e Denari con Alfredo Reichlin (Einaudi) fino a Quando l'Italia era una superpotenza e a Lo specchio del diavolo stampati ancora una volta dalla Casa torinese. Che ha anche editato l'ultimo lavoro uscito ed intitolato Il capitalismo ha i secoli contati.
Una società capitalistica ormai sull'orlo del tracollo?
«Ritengo che il capitalismo sia una formazione storica, che può contare alle sue spalle ben cinque secoli di storia: dal Cinquecento almeno fino ad oggi, con quelle che io definisco "prove d'orchestra" durante il Medioevo. Certo davanti a sé questa società ha una prospettiva storica, non crollerà nonostante la crisi. Il motivo già era stato espresso appunto dallo stesso Keynes: non abbiamo ancora una possibile alternativa da offrire al capitalismo. Ritengo però che ci si trovi di fronte ad un cambiamento, ad un passaggio: la fine di un grande ciclo trentennale, quello del turbocapitalismo predatore iniziato negli ultimi anni Settanta ed ormai giunto alla sua fase conclusiva».
Borse a picco, recessione dilagante e crolli da bollettino di guerra: qual è la sua personale interpretazione della crisi?
«Penso che sia il segno di una svolta storica: non una crisi meccanica, ma una malattia organica e reale che interessa le strutture economiche e la distribuzione del reddito. Resta il problema del cosa fare».
Appunto, cosa fare di fronte ai miliardi andati in fumo, alle borse che crollano, alla caduta drastica di oro e petrolio?
«Innanzitutto una nuova regolazione mondiale dopo gli accordi di Bretton Woods; e poi affrontare finalmente il problema del rapporto fra crescita ed assetto ambientale. E soprattutto capire cos'è l'economia: è fine in se stessa, da intendersi come accumulazione? Oppure è mezzo? E' l'uomo che serve l'economia o il contrario?».
Betty Paraboschi