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Domenica 14 Dicembre 2008 - Libertà

Cornia, storie di famiglia con un po' di comicità

Piacenza - Alcuni li chiamano "lunatici emiliani"; per altri sono i portavoce di una letteratura impossibile, di un mondo onirico che dall'Appennino arriva alla pianura con il suo bagaglio di "fole". C'è chi punta sulla linea visionaria e la chiama "fantastico padano". Ma c'è una cosa che resta nelle narrazioni di Celati e Cavazzoni, Benati e Nori, Colagrande e Cornia: un legame profondo con il territorio, una sintonia radicata e forte con una tradizione di storie e parlato che si insinua fra le pagine. E non manca in effetti neppure nell'ultimo lavoro di Ugo Cornia, Le storie di mia zia (e di altri parenti), presentato da Paolo Colagrande ed Eugenio Gazzola nell'Auditorium della Fondazione di via Sant'Eufemia, a conclusione della rassegna "Scrittori italiani contemporanei" organizzata proprio dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano.
«Scrivo per capire meglio quello che penso» sosteneva Luigi Malerba: Colagrande lo cita ancora per parlare di una narrazione, quella di Cornia, che «si avvicina ad un particolare senso del comico». Storie che non vogliono far ridere, ma sono divertenti: ecco una sorta di Centonovelle della post-modernità, in cui la fantasia si mescola fra le vicende e le storie di parenti ed amici. Sono "fole": apparentemente verosimili, con un fondo di verità e un tratto mitico che mantiene il sapore della parlata emiliana. Non è un caso che i racconti siano ambientati a cavallo tra l'Appennino modenese e bolognese: nelle pagine trapela un surrealismo marcato, una fantasia fervida e vivace che da sempre anima quei luoghi. La montagna come spazio in cui il tempo si ferma ed allora cosa si fa? Si parla e si racconta, si immagina e si narra: ecco le vicende della zia Bruna e le gioie del trisnonno Bartolomeo Ferrari, il poeta corteggiatore e l'amico Fabio Bonvicini. Tutti concorrono a creare quella straordinaria ridda di eventi inestricabili che comunque mantiene un equilibrio di insieme; «è un italo modenese» spiega Cornia nel definire il suo linguaggio. Una mescolanza ribollente di dialetto ed italiano che dà voce a suggestioni talvolta ambigue: tra fantasia e realtà si muove una narrazione breve ma densa, ironica e fantastica. Che sia un tratto tipicamente emiliano è evidente: Cornia fa parte di una famiglia più grande, che trae le sue radici persino dall'Ariosto. Eppure, pur nelle suggestioni condivise, pur nelle somiglianze che caratterizzano la "scuola" di Celati, l'autore modenese offre lucidi lampi di originalità.

Betty Paraboschi

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