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Mercoledì 5 Novembre 2008 - Libertà

Cullati dalle arie di Puccini

amici della lirica In Fondazione l'ultimo appuntamento dedicato al grande compositore
Un tris di ottimi cantanti e una conferenza di Landini: successo

Piacenza - La Rondine, il Trittico e Turandot, gli ultimi tre capolavori di Puccini, sono stati oggetto di analisi del terzo ed ultimo intervento da parte del musicologo Giancarlo Landini nell'ambito del ciclo di conferenze-concerto Il mio nome non sai, organizzato dagli Amici della Lirica in collaborazione alla Fondazione di Piacenza e Vigevano in occasione del 150° anniversario della nascita del compositore lucchese; gli incontri, tenutisi in Fondazione, hanno inoltre visto la partecipazione di alcuni cantanti, raffinati interpreti delle più celebri arie pucciniane, contribuendo ad offrire un piacevole interludio melodico alle precise e puntuali nozioni del professor Landini.
Nello specifico, i protagonisti di quest'ultimo appuntamento sono stati il soprano Manami Hama, voce intensamente armonica e dotata di un'ammirevole agilità, il tenore Antonio Corianò, vocalità melodiosa dal bel timbro squillante, e il baritono Carlo Maria Cantoni, voce densa e pastosa, scura e vellutata, accompagnati al pianoforte dal maestro Gianfranco Iuzzolino.
La composizione della Rondine, originariamente concepita come operetta, quindi trasformata in un'opera in tre atti affidandosi al librettista Giuseppe Adami, si trascinò, attraverso continui ripensamenti, dal 1913 al 1915: forse il lavoro meno noto e rappresentato di Puccini (per la prima apparizione alla Scala dovremo attendere il 1940), è anche l'unico ad essere stato edito da Sonzogno, a causa dei contrasti intercorsi fra il compositore e Tito Ricordi, subentrato al padre Giulio nella direzione di Casa Ricordi. Landini ha individuato tra ragioni fondamentali alla base di tale insuccesso, a partire dal momento storico (la prima rappresentazione avviene a Montecarlo nel 1917), che vede l'Italia in guerra e sull'orlo del tracollo nel conflitto con gli austriaci: va da sé che il popolo italiano non potesse vedere di buon occhio un'opera destinata in origine al Carltheater di Vienna; in secondo luogo la vicenda di Magda, fanciulla dai trascorsi non certo immacolati, e Ruggero, che ignorando il suo passato intende sposarla, ricalca forse un po' troppo quella di Alfredo e Violetta di verdiana memoria (allo stesso modo alcune scene paiono «troppo ispirate» al Pipistrello di Strauss); infine, per la protagonista, donna «rea» di aver vissuto troppo liberamente, non c'è «punizione divina» che la separi dall'amato, al quale rinuncia di sua spontanea volontà per ritornare fra le braccia del ricco amante Rambaldo.
Quasi contemporanea alla stesura della Rondine è quella del Trittico, presentato per la prima volta al Metropolitan di New York nel 1918, e che Landini definisce «storia di un mondo senza amore», individuando così un tratto comune alle tre vicende, peraltro molto differenti fra loro per personaggi ed ambientazione: il Tabarro è infatti la storia di un omicidio passionale, che ha luogo fra i quartieri popolari di Parigi, Suor Angelica narra invece di una monacazione forzata che, come avviene in Butterfly, nega alla protagonista il ruolo di moglie e madre; il Gianni Schicchi, infine, mostra, al di sotto dei toni comicamente farseschi e scanzonati (anche Puccini voleva il suo Falstaff), un'umanità gretta e meschina.
La lunga e laboriosa composizione di Turandot, che, rimasta incompiuta, terrà impegnato Puccini fino alla morte, sopraggiunta nel 1924, ha offerto infine a Landini lo spunto per soffermarsi sull'ultimo anno di vita dell'operista lucchese, colpito da un male incurabile e da un profondo sconforto esistenziale, come si evince dalle sue ultime lettere.
Fra le arie proposte nel corso dell'avvincente serata sottolineiamo la "Canzone di Doretta" dalla Rondine, "O mio babbino caro" dallo Schicchi, "Senza mamma" da Suor Angelica e "Tu che di gel sei cinta" da Turandot nell'ottima interpretazione di Hama, che nella dolcezza dei suoi filati e nella lirica drammaticità dei suoi acuti si è rivelata un soprano pucciniano a tutti gli effetti; il solo di Michele "Nulla, silenzio" dal Tabarro, con il quale Cantoni ha dato sfoggio, oltre che delle sue indiscutibili doti vocali, di una notevole attitudine alla recitazione e "Firenze è un fiorito asilo" dallo Schicchi fino alla celeberrima "Nessun dorma" dalla Turandot che hanno messo in luce il talento e la bravura di Corianò. Per finire, un'ultima chicca: la serata si è conclusa con l'ascolto di una registrazione de "Il mio nome non sai" dalla Turandot nella luminosa interpretazione del compianto tenore piacentino Flaviano Labò.

Alessandra Gregori

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