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Sabato 1 Novembre 2008 - Libertà

Pinazzi, ricorso al Tar contro l'Asp

commissione L'ente si oppone all'unione tra Ipab voluta dalla Regione. Chiappini: è un esproprio
Calciati (Pd) attacca il cda: grave che disattenda le linee del Comune

Ha preso la forma compiuta di un ricorso al Tar la resistenza che da anni la Fondazione Pinazzi-Caracciolo sta opponendo al percorso di aggregazione che una legge regionale del 2003 ha dettato per le Ipab emiliane. Un ricorso contro la Regione deliberato il 24 settembre scorso, ma di cui si è appreso solo ieri in municipio all'audizione del consiglio di amministrazione dell'ente davanti alla commissione consiliare 3, audizione richiesta dalla minoranza alla luce del permanere dell'ostilità della fondazione presieduta da Umberto Chiappini all'iter normativo che la chiama a confluire in un'unica Azienda dei servizi alla persona (Asp) insieme agli enti locali, Comune e Provincia, e ad altre tre Ipab, il Vittorio Emanuele, gli Ospizi civili e il Pio ritiro Santa Chiara.
L'adesione all'Asp «il più in fretta possibile» è nelle volontà del Comune, ha fatto presente l'assessore ai servizi sociali Giovanna Palladini, ma c'è prima da attendere l'esito del ricorso pendente che sta bloccando i tempi. A perorare, d'altra parte, la scelta di aprire la battaglia legale è stato Chiappini (nominato dal Comune così come altri tre dei membri del cda - Rosalba Trabacchi, Paolo Ghinelli, Carlo Brunetti - mentre il quinto è un sacerdote - don Luciano Zangrandi - indicato dalla diocesi) che ha ricostruito le tappe del contenzioso con la Regione. Se lo scopo della legge è accorpare, per meglio organizzarle, le attività socio-assistenziali di un territorio, va anzitutto tenuto presente, ha osservato, che «noi non ne apportiamo perché non ne facciamo da anni, quello che apportiamo è solo il patrimonio, per cui sarebbe più che altro un'espropriazione». Ecco perché il "Pinazzi-Caracciolo" vuole sfilarsi dall'azienda unica, per battere invece la strada della privatizzazione, o meglio depubblicizzazione.
A smontare le aspettative e le tesi giuridiche di Chiappini è stato Carlo Brunetti, fresco di nomina in cda (dopo però la deliberazione del ricorso su cui va comunque annotato il voto contrario della vicepresidente Trabacchi), il quale ha sostenuto come la fondazione, concedendo in uso i propri immobili (un fabbricato in stradone Farnese e un fondo agricolo alla Madonnina) a operatori del sociale - il Ceis (lotta alla droga) e la coop La Magnana (aiuto a persone disagiate) -, vada comunque considerata, norme alla mano, erogatrice prioritariamente di attività socio-educative. Il che le impedirebbe la trasformazione privatistica obbligandola a confluire nell'Asp indicata dalla legge regionale.
Un piano più politico di polemica va registrato su un'affermazione di Chiappini a sostegno della «salvaguardia dell'ambito cattolico in cui nacque» il Pinazzi-Caracciolo (di quell'ambito sono sia il Ceis sia La Magnana). È stata Giovanna Calciati (Pd) a reagire invitando a tenere distinti le personali inclinazioni religiose e il ruolo di amministratori pubblici: «I rappresentanti del Comune non lo sono della diocesi, trovo sconvolgente che non diano seguito alle direttive del Comune, se non le si condividono ci si dimette, è un semplice gesto di etica istituzionale». Inoltre, ha incalzato, va tenuto conto dei costi aggiuntivi che la linea ostruzionistica della fondazione comporta: «Già abbiamo perso le agevolazioni fiscali del 2008, speriamo che da Roma arrivi un decreto per averle nel 2009, senza contare le spese legali. Chi le paga se non la comunità?».
«Non è l'ispirazione religiosa che si vuole difendere», ha replicato il presidente la cui nomina nel Pinazzi-Caracciolo parte dalla giunta-Vaciago, confermata poi da quella Guidotti: «Non siamo rappresentanti del Comune, è stata la libera volontà del fondatore (il religioso monsignor Giuseppe Pinazzi, ndr) a affidare le nomine a sindaco e vescovo».

Gustavo Roccella

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