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Mercoledì 20 Agosto 2008 - Libertà

Alina Marazzi: vi parlo di rivoluzione sessuale e di donne speciali

Il profondo cambiamento portato dalla liberazione sessuale e dal movimento femminista in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta sono il tema fondamentale della quinta serata del Bobbio Film Festival, che oggi ha in calendario la proiezione dell'applaudito documentario Vogliamo anche le rose, diretto da Alina Marazzi. Le attrici Anita Caprioli, Teresa Saponangelo e Valentina Carnelutti danno voce ai diari di tre ragazze, vissute nella Milano del 1967, nella Bari del 1975 e nella Roma del 1979 (il successo di critica della regista era iniziato con Un'ora sola ti vorrei, 2002, toccante ricostruzione dell'immagine della madre, morta suicida, attraverso i filmini amatoriali del nonno). Il film sarà proiettato stasera alle 21.15 nel chiostro dell'abbazia di San Colombano, alla presenza della regista e della producer e scenografa Gaia Giani, che ha collaborato alla ricerca e alla rielaborazione del materiale d'archivio. Un contributo esterno arriverà dalla studiosa Lella Ravasi.
Come descriverebbe «Vogliamo anche le rose» al pubblico di Bobbio?
«Il film unisce pezzi della vita di alcune donne tra la fine degli anni Sessanta e Settanta, che ruotano attorno alla liberazione sessuale. E' stato realizzato montando documenti sonori, visivi e testuali, tra cui compaiono le testimonianze di tre donne, tratte dai diari da loro scritti all'epoca, che ho ritrovato nella Fondazione archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano. Il mio intento era raccontare una storia collettiva con una prospettiva intimista e soggettiva, attraverso le esperienze di tre persone molto diverse tra loro».
Affrontare in un'ora e mezzo un tema estremamente complesso come la rivoluzione sessuale in Italia poteva essere una scelta rischiosa. Ripensando a posteriori al film si ritiene soddisfatta o crede di aver tralasciato qualcosa di importante?
«Sono completamente soddisfatta. Non si può pretendere di essere esaustivi in un'ora e mezzo. Su quel periodo c'è un mare di storie e di testimonianze: noi abbiamo fatto delle scelte, tralasciando forse molte cose importanti, tra cui la violenza sulle donne, che nel film è solo accennata, e l'omosessualità. Ma concentrare tutti i temi in un solo film avrebbe voluto dire trattarli superficialmente e annullarne il valore».
Come ha avuto l'idea di parlare della liberazione sessuale in Italia?
«L'idea è nata da un'osservazione e una riflessione sul presente, sul modo in cui oggi viviamo i nostri rapporti di genere e la sessualità. Per capirlo meglio ho pensato di ripercorrere quegli anni così determinanti e travolgenti, carichi di sofferenza, senza i quali non avremmo avuto molti diritti che oggi diamo per scontati».
Il documentario in Italia è spesso visto in modo limitante: il pubblico, soprattutto, lo riconduce ai filmati naturalistici o ai reportage, che spesso hanno poco a che vedere con il cinema. Come far cadere questo luogo comune?
«Ultimamente in Italia si parla di rinascita del documentario, ma in realtà non si sa bene che cosa sia questo genere, e li si confonde con i reportages. Nel nostro Stato, poi, diversamente dal resto d'Europa, i documentari raramente finiscono nelle sale cinematografiche. In realtà, nella misura in cui si esprime la necessità di raccontare qualcosa e di narrare una visione del mondo, tanto i documentari quanto la fiction, quanto i film di animazione, hanno lo stesso valore e spessore, e sono davvero "cinema"».
Quale sarà il suo prossimo progetto?
«Sto lavorando ad un altro documentario che racconterà altre storie al femminile. E' più forte di me, mi viene naturale parlare delle donne, perché corrisponde al mio modo di vedere le cose».

ALESSIA STRINATI

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