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Sabato 26 Aprile 2008 - Libertà

Frasso svela il Paradiso Tomassini lo declama

Successo per il quarto incontro dantesco a Palazzo Galli

Piacenza - Boccaccio descriveva Dante come «sempre nella faccia malinconico e pensoso»: il sommo poeta ha portato quei suoi pensieri in una lectura di viva intensità. Il ciclo di analisi e lettura della terza cantica della Divina Commedia, organizzato dalla facoltà di scienze della formazione dell'università Cattolica, è arrivato a metà del suo percorso: il quarto giovedì di incontro, l'ultimo tenuto a Palazzo Galli (gli altri quattro avranno luogo nell'auditorium della fondazione di Piacenza e Vigevano, sostenitrice dell'evento), ha fatto ancora il tutto esaurito.
Questi "aperitivi" culturali gratuiti interessano e appassionano: chi è venuto per caso una volta è ritornato, i volti sono gli stessi con numerosi acquisti ogni volta preziosi; insegnanti, studenti, appassionati, pensionati, ragazzi. Nel pubblico alcune figure già note a Dante, come quella di Salvatore Dattilo che quest'estate aveva letto alcuni canti dell'Inferno con l'introduzione di Pierantonio Frare nella scenografica Castellarquato. Giovedì, invece, il canto analizzato è stato il 17° del Paradiso che costituisce «un trittico con i precedenti due, in grado di svelare il nucleo primario del poema nel compimento della vicenda storica di Dante» come illustrato in modo lucido da Giuseppe Frasso, docente di filologia italiana e letteratura italiana all'università Cattolica. Dopo un rapido e chiaro excursus sui canti 15° e 16°, Frasso ha proseguito nell'analisi verso per verso con un interesse spiccatamente filologico e con interessanti sfondamenti nella storia della lingua italiana, una lingua fortemente generativa. In uno spaccato di storia fiorentina, Dante analizza il degrado della Firenze del suo tempo in contrapposizione alla città serena e in pace del tempo di Cacciaguida.
In Dante non c'è mai nulla di casuale: versi elaborati con numerosi artifici sono finalizzati a preparare la profezia posteventum del suo avo: l'esilio di Dante. L'autore non è mai schiavo di sé e delle sue norme retoriche; il linguaggio infatti, al termine del canto, si abbassa in un'intrusione violenta comica nell'accezione della retorica medioevale con la funzione di dire tutto il male dell'universo. Dante è profeta perché poeta, ha una funzione di ammaestramento nel dire ciò che ha visto. «La sua missione è per sempre fissata» ha concluso Frasso. Anche il canto è stato fissato nella memoria degli spettatori con la lettura efficace di Stefano Tomassini (1966), artista di formazione umanistica, tra Parma, Torino, Londra e Oxford, oggi impegnato nell'attività di critico di danza e insegnante all'università Ca' Foscari di Venezia. Ha inoltre studiato teatro e danza, e dal 1988 lavora con la compagnia teatrale Infidi Lumi (premio dell'Associazione nazionale della critica teatrale 2002).

Elisa Malacalza

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