Venerdì 18 Aprile 2008 - Libertà
Il '900 tra musica e architettura:
un secolo di bizzarri incroci
Al "Cassinari" incontro col saggista e musicologo Favaro
Architetture musicali e musica delle architetture, un bizzarro incrocio di sostantivi e aggettivi, che, dal significato apparentemente sinonimico delle due definizioni trae il fondamento della loro sostanziale differenza: la prima, infatti, si riferisce alla precisa e rigorosa metodologia che regola la composizione musicale di matrice colta, con specifico riferimento alla rigidità dello schema contrappuntistico; la seconda, viceversa, allude alla progettazione di strutture ed edifici atti ad ospitare un determinato genere musicale. Del resto, nel corso dei secoli, le due discipline, accomunate da una condivisa origine di natura scientifica, hanno finito con l'instaurare un fecondo rapporto di collaborazione culminato, nel Novecento, nell'edificazione di complesse strutture architettoniche in cui lo studio della propagazione del suono non solo influenza ma addirittura determina le specifiche scelte progettuali adottate: l'estetica dell'edificio, cioè, è strettamente dipendente dalla resa acustica dello stesso.
A ricostruire questo lungo e laborioso percorso storico-artistico, costellato di illustri esempi, è intervenuto martedì pomeriggio nell'aula magna del Liceo artistico "Cassinari" il professor Roberto Favaro, musicologo e saggista, attualmente docente all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, all'Accademia di Architettura di Mendrisio e alla Facoltà di Design e Arti dello Iuav di Venezia, ospite qui del quarto appuntamento del progetto "Itinerari della musica contemporanea", ciclo di incontri sulla musica e le arti nel Novecento promosso dal "Cassinari" con il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano.
Nel corso della sua approfondita lezione, dal titolo "La forma del suono, il suono della forma", il relatore, avviando un parallelo fra storia dell'architettura e della musica, ha indicato alcune opere esemplari dello stretto rapporto da sempre esistente fra le due arti: lo stesso teatro greco - Favaro ha fatto riferimento al Teatro di Epidauro- , rappresentazione simbolica della polis e della sua struttura democratica, mostra un forte legame di interdipendenza fra architettura e suono (la visuale e l'acustica dovevano essere le medesime da ogni punto). Approdando ad esempi specifici, nel 1600, la pianta a croce greca della Basilica di San Marco è il fattore determinante la rivoluzione attuata in campo musicale da Giovanni Gabrieli, organista della Basilica e ideatore dei "cori spezzati": i cantori, disposti in specifici settori della chiesa, davano vita ad un amalgama polifonico irripetibile se non in quel luogo specifico per il quale la musica era stata composta.
E che dire del Festspielhaus di Bayreuth fatto costruire da Wagner appositamente per le sue opere? L'orchestra, visibile nei teatri italiani, ma considerata da Wagner un potenziale elemento di distrazione dalla messinscena per lo spettatore, scompare nel golfo mistico, dove, a causa della forma a conchiglia della cavità ricavata alla base del palcoscenico, il suono sinfonico si carica di nuovi impasti armonici ed esce "mistificato". E se è vero che il Novecento è riuscito nell'intento di creare architetture funzionali a determinate composizioni strumentali, è stato pure possibile il verificarsi dell'esatto contrario: musiche ispirate e generate dalla particolare conformazione di uno spazio architettonico: e qui Favaro ha dapprima descritto il Padiglione Philips di Bruxelles realizzato da Le Corbusier, che affida a Edgar Varése e a Jannis Xenakis, compositore e architetto greco naturalizzato francese, fra i primi ad unire l'idea della progettazione a quella della composizione, il compito di scrivere una partitura "adatta" al luogo: nasce così Poema elettronico, impasto di suoni sintetici e naturali, che accompagna i visitatori lungo il percorso espositivo.
ALESSANDRA GREGORI