Lunedì 28 Aprile 2008 - Libertà
Concarotti, fotogrammi di vita e racconti sul filo dell'amarcord
Rileggere "L'uomo che inventò se stesso" è quasi come sfogliare un copione neorealista su Piacenza
Racconti sul filo dell'Amarcord. E potrebbero anche essere dei fotogrammi, quando non veri e propri soggetti, per un cinema neorealista su Piacenza e i suoi cittadini. Personaggi forti, ai quali dobbiamo la nostra Liberazione, e personaggi strabilianti eppure fini conoscitori della poesia e dei suoi silenzi.
Rileggere i racconti di Enio Concarotti, raccolti nel volume L'uomo che inventò anche se stesso, edito da Tipleco grazie al sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano, suscita davvero un moto del cuore.
Ma con misura, senza sdolcinatezze. Non è facile "giocare" in questo modo le parole, come Stefano Fugazza, il direttore della Galleria d'arte moderna "Ricci Oddi" che firma l'introduzione del libro, chiaramente sostiene: «Si tratta di una narrativa a prevalente sfondo autobiografico, non nel senso deteriore che a volte assume una simile prospettiva, foriera di abbandoni e indugi sentimentali stucchevoli e ingiustificabili».
C'è molto da imparare - aggiungo - dalla scrittura di Concarotti. La sua narrativa, non a caso, proviene dal giornalismo, quello con la "G" maiuscola del tempo che (ahimé) fu, ma anche da esperienze molto intense, vissute in un fermento culturale che, sia all'estero sia nella cittadina di provincia dove le correnti artistiche e letterarie arrivarono, ree di fermentare desideri di libertà, pensieri e scritture, dipinti e musica.
Ciò che, più di ogni cosa, stupisce è la capacità di mettere a nudo la propria intimità nel descrivere un viso, un luogo, una memoria.
Da Un incontro sbagliato: "Padre mio che sei nel piccolo forno di cemento del Quinto Reparto eccomi a te con tre fiori bianchi da mille lire l'uno in mano, insomma tremila lire di ricordi per te che mi hai dato la vita, sono pochi, lo so, come poco è sempre stato tutto quello che ho saputo darti quando eri vivo e lavoravi pazientemente per me e ti costruivi speranze più vivide di stelle sul mio conto e io crescevo, io il figlio sbagliato che non aveva nel cuore la ferma serietà del padre né la lieta semplicità della madre - madonna santa - dicevate da dove è saltato fuori questo figliolo così diverso dagli altri, da chi ha preso, dal padre no, dalla madre no, dai nonni e dai bisnonni no tutti brava gente d'orto e di campagna e allora da chi?"
L'utimo gelato di Clara rimanda al titolo di un quadro di Gustavo Foppiani, grande amico che insieme a Cinello, Bruno e Nello, Concarotti va a trovare «nel grande silenzio oltre i muri gialli del cimitero urbano». E «per non cadere nella trappola elegiaca alla Spoon River», se li prende tutti sottobraccio e se li porta al Barino (il mitico Barino, faro di piazza Cavalli quando il centro era ancora il centro e la città un luogo vitale... che nostalgia!). Concarotti chiede a Clara, bella bambina bionda e grassottella sul Facsal: «Perché sei triste?» E lei risponde: «Perché fra un po' devo andar via. Vado ad abitare in un quadro che sta dipingendo un pittore».
Ma nella raccolta di Concarotti ci sono anche Storie un po' vere e un po' no, cronache scritte con l'anima dal Venezuela e da «quel fine maggio che c'era già la guerra» (come non ricordare l'esperienza del giovane Concarotti negli anni della lotta partigiana sull'Appennino come cronista di guerra del "Grido del Popolo", il giornale della Divisione Giustizia e Libertà (poi Divisione Piacenza) comandata da Fausto Cossu. Una narrativa partita dalla guerra. Sarà forse anche per questo che si snoda limpida, scorrevole, efficace.
Il libro di Concarotti non piacerà solo a chi, quegli anni, li ha vissuti direttamente o nei ricordi dei propri familiari, ma anche agli studenti. Per questo motivo, dovrebbe entrare nelle scuole.
Enio Concarotti, "L'uomo che inventò anche se stesso", edizioni Tipleco, 180 pp, 12 euro
ELEONORA BAGAROTTI