Domenica 20 Aprile 2008 - Libertà
L'importanza della bioetica laica
All'auditorium della Fondazione dibattito con esperti
Maurizio Mori: «Tenere fuori le credenze religiose»
Un tema di sviluppo; una disciplina che presenta un interesse non solo sociale e politico, ma soprattutto umano. E' la bioetica, che occupa ormai un ruolo sempre più rilevante nella medicina quotidiana e è diventata una sorta di percorso obbligato per tutti i medici: ed allora è importante comprendere che esiste un problema etico in ogni attività giornaliera e soprattutto capirlo attraverso strumenti efficaci ed innovativi.
Uno di questi è senza dubbio la rivista interdisciplinare Bioetica (edizioni Vicolo del Pavone) diretta dal docente dell'università di Torino Maurizio Mori e presentata all'Auditorium della Fondazione, insieme al direttore generale della Ausl di Piacenza Andrea Bianchi e al medico Mario Riccio, da più di un anno sulle pagine della cronaca come anestesista del caso Welby. Al centro del dibattito, coordinato da Oreste Franchi, una «bioetica di orientamento laico, che ragiona come se Dio non ci fosse - ha spiegato Mori, che è anche presidente della Consulta nazionale di bioetica - ossia non fa valere il peso delle credenze religiose nella discussione pubblica».
E il risultato è insito nella rivista ed emerge in ogni pagina: c'è il pluralismo ed il carattere apartitico, il lavoro intellettuale racchiuso in una pubblicazione che è sì accademica più che divulgativa, ma si confronta con le problematiche attuali. Ed allora ad essere presentato è stato soprattutto il fascicolo sul caso Riccio/Welby, uscito con il primo numero di quest'anno della rivista e ricco di documentazioni e testimonianze importanti, da Mina Welby allo stesso Bianchi, nella veste di presidente dell'ordine dei medici di Cremona che ha valutato il caso Welby; durante la conferenza prende voce un nuovo approccio medico, quello che ha abbandonato gli atteggiamenti paternalistici ed ippocratici per aprirsi ad un confronto paritario con i diritti del cittadino. Emerge la cultura del consenso informato e si affrontano concretamente i problemi dati da una normativa che non sempre è d'aiuto: l'importanza della rivista si manifesta proprio nel suo coraggio, quello «di trattare temi di cui si parla spesso ma dai quali ci si distanzia molto», sostiene Riccio.
L'anestesista espone il proprio pensiero lucidamente, senza riserve e senza riserbo: loda l'ordine dei medici di Cremona «perché ha preso la decisione di decidere» e si scaglia contro quegli ambienti accademici che aspettano inermi; parla di un paziente che finalmente «prende coscienza di essere protagonista della sua storia medica» e cita Welby come un «non-caso, perché in futuro capiranno che non è successo niente».
«Un paziente può rifiutare il trattamento - gli fa eco Bianchi - e spesso lo fa». Si afferma una salute che non è solo fisica, ma anche psichica e fatta di dignità.
b.par.