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Domenica 6 Aprile 2008 - Libertà

«Monumenti equestri, malinconici e tristi»

Così Philippe Daverio e Xerra al convegno in Fondazione sugli "autoritari esempi"

Dai cavalli del Mochi agli ologrammi di Franco Vaccari, per riflettere su forma e ruolo del monumento nella città contemporanea, partendo dall'oggi nella convinzione che «la chiave anacronistica sia la più adatta a fornire una migliore lettura delle opere del passato», come ribadito nel discorso introduttivo da Eugenio Gazzola, curatore insieme a Donatella Ferrari del convegno Gli autoritari esempi, ospitato ieri all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano.
L'intervento di Gazzola si è mosso a ritroso, dai cavalli di Jannis Kounellis, animali vivi esposti alla Galleria dell'Attico di Roma nel 1969, alle statue di Donatello e del Verrocchio, evidenziando l'utilizzo scenografico e politico dei cavalli in pittura e in urbanistica, come nel caso di piazza Cavalli, oggetto dell'accorata denuncia dell'artista William Xerra: «A lungo ho immaginato che i cavalieri fossero i padroni della città che, dopo i Farnese, un secolo dopo l'altro, con fantasia e ambizione, salivano in groppa ai cavalli. Lentamente ho preso coscienza della realtà e i cavalli li vedo sempre più zitti, malinconici con l'aria tranquilla quello di Ranuccio, con gli occhi furiosi, pronto a scattare quello di Alessandro. E ancora oggi, senza dir niente, pazientano e portano quei nobili sederi a spasso negli anni e, con essi, le loro ambiziose speranze. Mai un lamento. Nemmeno con i tanti sindaci passati dietro le finestre - di sopra - che si son fatti belli di loro, ma non hanno mai pensato a farli conoscere come si deve alle altre città, al mondo». «Cavalieri che - ha sottolineto Xerra - salgono e scendono, li usano, se ne vanno senza salutare e pagare il conto», perché «l'amministrazione pubblica dimentica l'importanza del suo patrimonio e la necessità di valorizzarlo». Così rimane come «vero e saldo cavaliere» soltanto Francesco Mochi, che forse - ha osservato Xerra - sperava in un futuro più alto.
Tristi e poco fieri sono apparsi poi i monumenti equestri di Milano al critico Philippe Daverio, con l'unica eccezione della statua medievale di Barnabò Visconti. Dopo un lungo silenzio, il '900 ha portato con sé il cavallo spaventato di Vittorio Emanuele II in piazza Duomo, il destriero preoccupato di Garibaldi in piazza Cairoli, l'animale sfinito di piazza Messori. In una sorta di "studio borgesiano", Daverio ha immaginato l'arrivo a Milano nel '400 di un fantomatico codice arabo, la cui maledizione si manifesterebbe nella depressione dei cavalli.
Come sia possibile risolvere oggi il tema del monumento lo ha raccontato l'artista Franco Vaccari, mostrando alcuni suoi lavori, come il progetto del "monumento attraversabile" sotto i portici di una delle aree più degradate di Modena (un ologramma del busto di Francesco I d'Este del Bernini, che compare di notte e scompare di giorno, espressione della dicotomia pesante/leggero) o l'intervento, realizzato nell'ambito di Tuscia-Electa, sul monumento a Greve in Chianti dedicato a Giovanni da Verrazzano, lo scopritore dell'isola di Manhattan. Qui Vaccari ha applicato sulla base uno schermo, che trasmetteva via internet in diretta le immagini catturate da webcam di New York, «annullando la dicotomia vicino-lontano». Stefano Zuffi ha compiuto un excursus sulla figura dell'animale nell'arte, mentre Davide Gasparotto si è soffermato sull'iconografia dei bassorilievi del Mochi. Su piazza Cavalli è tornata anche Eleonora Squeri, in un confronto con la vicina piazza Duomo, evidenziando come «la conoscenza della funzione storica di uno spazio sia fondamentale per capire le attività e gli eventi che quel luogo può accogliere ora». Il convegno è stato promosso dal Laboratorio delle Arti con l'associazione Piacenza Urbis, la Fondazione e l'editrice Scritture, con il patrocinio di Comune e Provincia.

An.Ans.

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