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Domenica 2 Marzo 2008 - Libertà

Bacalov, voci e spiriti dell'America latina

Il premio Oscar ha aperto il Jazz Fest l'altra sera prima in trio e poi in quartetto in un esaurito Spazio Rotative
Bis e standing ovation per un set ricco di poetiche atmosfere

Piacenza - «Non sparate sul pianista!», ammiccava spiritosamente Luis Bacalov seduto alla tastiera, e sorridendo al pubblico che ha fatto il pienone allo Spazio Rotative, prima di dare il via allo stupendo concerto inaugurale di un Piacenza Jazz Fest 2008 (organizzato dal Piacenza Jazz Club presieduto da Gianni Azzali con il sostegno dei Comuni di Piacenza, Fiorenzuola e Fidenza, la Provincia, la Regione e la Fondazione di Piacenza e Vigevano) che si annuncia ruggente (chi ben comincia?). Non tutti i Festival italiani, evidentemente, versano in condizioni critiche.
La battuta "western" di Bacalov aveva un significato preciso. Il grande musicista argentino, con elegante sfoggio di umiltà, aveva già confidato, dietro le quinte, di un po' in apprensione per la collocazione in un festival jazz - per giunta con il ruolo di "apripista" - del suo Luis Bacalov Quartet con un concerto dal titolo programmatico, Tango and around. «Io amo il jazz e nel mio quartetto c'è un grande jazzman come il contrabbassista Giovanni Tommaso», diceva, in tono cautamente perplesso «ma quello che suono non è jazz, se non in senso molto lato. Non so se ai puristi del jazz piacerà».
E' piaciuto eccome, a puristi, "impuristi", intenditori e principianti, con tanto di standing ovation dopo l'ultimo bis. Non poteva essere altrimenti perché la musica del Luis Bacalov Quartet aveva della lingua jazz, se non la grammatica, tutta la poesia: la sensualità, l'ardimento tecnico, il senso sapiente del ritmo e dell'armonia, i voli dell'improvvisazione disciplinati da una ferrea "regia". E, soprattutto, la capacità di portare sulle spalle le suggestioni di cento anni di storie, di romanzi, di poesie, di film, di foto in bianco e nero (il tango, nel Ventesimo secolo, non è forse stato per Buenos Aires e Montevideo quello che il jazz è stato prima per New Orleans e poi per New York?).
Serata memorabile. E pensare che stava per andare tutto all'aria: il concerto, infatti, è stato lì lì per essere rimandato, causa minacciata indisponibilità di Juanjo Mosalini, "el mas tanguéro" del Quartet, spettacolare virtuoso del bandoneon (la piccola fisarmonica - anzi, tecnicamente si tratta piuttosto di un organetto - resa celebre dal grande Astor Piazzolla). La presenza di Mosalini, colto da un febbrone a Parigi e "dopato" di Novalgina con uno sforzo di abnegazione che non gli aveva impedito di perdere l'aereo, era rimasta in dubbio fin quasi all'ora di andare in scena; e il Nostro ha potuto suonare soltanto nella seconda parte della serata. Ma non tutto il male è venuto per nuocere: il Luis Bacalov Quartet, costretto a trasformarsi nella prima parte in Luis Bacalov Trio (il leader al pianoforte, il suo musicalissimo figlio Daniel alle percussioni e una "roccia" come Tommaso al contrabbasso) ha potuto organizzare la propria scaletta all'insegna di un emozionante "crescendo". In questo programma di "tango e dintorni", la prima parte, interamente dedicata a composizioni di Bacalov, ha esplorato soprattutto i "dintorni": lo sfondo di suoni, voci, ritmi e spiriti dell'America Latina da cui il profilo del tango ha finito per emergere nella sua inconfondibile singolarità. La tempestosa nube di corde basse di pianoforte suonate con le mani e di percussioni immaginifiche che ha aperto la melodia brasiliana di Mato Grosso e il pathos dolente di Tristies ("triste" è il nome, eloquente, di un genere musicale argentino) hanno incorniciato gli orecchiabilissimi riff di piano di Bagu Alando e l'inebriante Puente a 6/8, piccola "summa" di ogni possibile musica scritta nel più palpitante dei tempi dispari. Brani che sembravano suggestive colonne sonore di film mai girati, confermando la vocazione per la quale Bacalov è più celebre: quella di compositore per il cinema. Ma è stato il suo talento, più segreto, di pianista dal tocco caleidoscopico a impressionare i presenti sopra ogni altra cosa.
Con l'ingresso in scena di Mosalini, la musica cambia direzione: è tango al cento per cento, anche se fecondato dai pollini di musiche portate dai quattro venti sull'esempio del nume Piazzolla, musicista oggi inflazionatissimo ma onorato alle Rotative in modo finalmente non banale, con la sua De carisimo e con Astoriando di Bacalov. Arrivano altri "traditonals" di tango, come Don tulipanes e Paso triple, oltre a composizioni "in tema" di Bacalov (Paralelo a paralelo, Ricercar de Baires, Tangana ostinato) e Tommaso (Tangoing). Pubblico in visibilio. Due i bis, entrambi previstissimi, ma ugualmente emozionanti, con i due protagonisti della serata (il vivente Bacalov e il fantasma di Piazzolla) omaggiati in modo paritario: per il primo, l'indimenticabile tema da Oscar del film Il postino; per il secondo, l'ormai altrettanto cinematografica (ricordate Frantic di Polanski?) Libertango, in una versione colossale. Adiòs, Nonino ci sarebbe stata altrettanto bene, forse meglio. Ma da scorpacciate di musica così buona, ci sia alza sempre con un po' di fame che resta

Alfredo Tenni

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