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Martedì 26 Febbraio 2008 - Libertà

Vignola, il '68 e l'amore nelle canzoni

Folto pubblico e successo in Fondazione per il recital del musicista

Adriano Vignola è personalità eclettica, poliedrica e fra le tante passioni artistiche coltivate si diletta di musica raggiungendo, come nella pittura, eccellenti risultati. L'altra sera all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano nel recital "La ballata dell'amore" ha intrattenuto un numeroso pubblico con motivi sospesi tra revival e nostalgia, risalenti più o meno agli anni '60, incentrati sull'amore, divino sentimento che ha sempre scombussolato l'animo umano. Grande spazio alla "scuola genovese" - la più rappresentativa di quegli anni - dell'incompreso ma sensibilissimo Umberto Bindi (Arrivederci), dell'introverso Bruno Lauzi (Il poeta), del gettonatissimo Gino Paoli (Il cielo in una stanza; Che cosa c'è; Senza fine; Sassi), dello sfortunato Luigi Tenco (Ho capito che ti amo; Vedrai vedrai; Se sapessi come fai) e dello strepitoso Fabrizio De Andrè (La ballata dell'eroe; La canzone di Marinella; Leggenda di Natale; Amore che viene, amore che va; La canzone dell'amore perduto; Via del Campo; Il fannullone).
Ma, vicino a quella scuola, non dimentichiamo il più isolato ma validissimo Sergio Endrigo (Io che amo solo te; Via Broletto; Vecchia balera; Era d'estate; Adesso sì) e poi su tutti il superlativo Domenico Modugno (Vecchio frac). Quindi tributo anche a Giorgio Gaber che esordì con motivi romantici (Porta Romana; Le strade di notte; Le nostre serate) per diventare un guru del teatro impegnato.
E chiusura con La ballata dell'amore, struggente motivo di Tenco, sigillo finale di un interessante e brillante percorso tra amor sacro ed amor profano, amore spirituale o sensuale, di un decennio fatale per la musica italiana tanto lontana dai toni languidi e sdolcinati degli anni '50 quanto vicina ad un non superficiale psicologismo. L'approssimarsi però degli anni '70, di rivoluzionarie band straniere avrebbero innestato sul delicato tessuto musicale italiano sonorità ben più toste. Perché riproporre oggi cover, hit, "canzoni senza tempo"? Per soddisfare una certa fascia di pubblico indubbiamente ma anche per prolungare validità ed unicità di classici ignorati dalle nuove, talora aggressive, tendenze musicali di una New age sempre più difficile da inquadrare socialmente e culturalmente.
Importante il taglio dato alla serata da Vignola: gruppi di canzoni legate a tematiche sociali per riconoscere - a quella d'autore ma anche alla popolare - nobili ascendenze, stretta connessione con la realtà, riscontro poetico perché la musica in questi straordinari interpreti è originata da ritmo, pause, enjambement. Carrellata di due ore, introduzione breve ma efficace per ogni canzone, non tutte famose, comunque attentamente selezionate per ricostruire un vivido spaccato esistenziale, e coinvolgere l'attento pubblico. Voce melodica, timbro pacato, note accarezzate con la chitarra, Vignola - decisamente un ottimo conoscitore dell'universo musicale non solo italiano - ha ricercato soprattutto atmosfera, intimità ed introspezione caratteristiche del resto della miglior tradizione cantautoriale nostrana uscita triste dal boom economico e poi seriamente scossa dai conflitti dell'oltraggioso '68.

FABIO BIANCHI

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