Giovedì 21 Febbraio 2008 - Libertà
«Suor Maria Teresa, una donna forte»
Sabato all'auditorium della Fondazione un convegno per ricordare la protagonista piacentina del documentario "Clausura"
Sergio Zavoli e l'incontro folgorante con la religiosa
Sergio Zavoli l'ha detto più volte, e in più occasioni: l'incontro con suor Maria Teresa fu folgorante. E il suo documentario sarà riproposto sabato, alle 16 all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, alla presenza del grande cronista.
Il desiderio di entrare con un microfono in un monastero di clausura, per raccogliere le voci che il mondo non aveva mai ascoltato prima, lo affascinava. «E così, nel 1958, mi rivolsi al cardinale Lercaro a Bologna, allora assistito da monsignor Bettazzi, che sarebbe poi diventato vescovo di Ivrea. Erano uomini di una Chiesa che faceva riferimento a papa Giovanni XXIII, che guardava al nuovo. Uomini in grado di esprimere la loro forza interiore con grande coraggio e con grande umiltà. Non mi dissero no, mi pregarono soltanto di pensarci su una notte, e la mattina dopo, quando mi presentai davanti a loro, non ebbero problemi a dirmi che avrei potuto conoscere una delle donne più forti che abbia mai incontrato, suor Maria Teresa dell'Eucaristia».
Zavoli ha spiegato in più circostanze che arrivò come può presentarsi un laico: «Un po' goffo, in quel monastero di clausura». Sono passati trent'anni, e forse più, e ha ancora il pudore nel raccontare questa vicenda: «Ricordo che quando sollevò una sorta di velo nero dalla grata, la suora mi accolse con il rituale "Sia lodato Gesù Cristo" e io rimasi lì, non sapevo cosa rispondere, ero imbarazzato. E lei molto generosa. Mi diede la giusta confidenzialità. Parlai del mio progetto e lei, all'inizio, fu turbata, ma al tempo stesso rassicurata dal fatto che c'era il sì dell'arcivescovo. Tuttavia, questa suora manifestava un'inquietudine inevitabile, perché evidentemente non era abituata a parlare con estranei, così come non lo erano le sue consorelle. Mi disse come saremmo riusciti a conversare tenendo conto del fatto che lei viveva di silenzio, ed io di parole. Palesò una certa difficoltà e aggiunse che non capiva come avrei realizzato il mio progetto. Io ebbi la forza di dirle, senza alcuna malizia e in un tono molto confidenziale, che quel progetto veniva da dentro, che ci saremmo parlati con chiarezza, senza falsi pudori. E le dissi che non volevo per niente fare uno scoop giornalistico. Era vero, a me premeva soprattutto essere un tramite, un testimone tra quel mondo nascosto e il grande mondo fatto di clamori, dolore e urla che riempivano il mio essere fuori».
Fu da quell'incontro che prese corpo Clausura. «Sì, il documentario fece il giro del mondo, è stato tradotto in molte lingue. Ricordo una versione della Bbc molto suggestiva, dove a interpretare la suora c'era un'attrice di primo piano. Suor Teresa, invece, quando mi parlava, era se stessa. Ed era soprattutto preoccupata di conciliare le sue parole con le reticenze imposte dalle regole e dal costume di vita nel quale era completamente immersa. Credo che per quel tempo il mio documentario, grazie a suor Maria Teresa dell'Eucarestia, sia stato qualcosa di utile, di dirompente, ma soprattutto di inedito. Non fui io l'attore e l'autore di quella trasmissione, ma fu lei a fare il salto del muro».
Zavoli, insieme ad Enzo Biagi e Indro Montanelli, è sicuramente uno dei più grandi giornalisti del '900: la sua pacatezza, la sua caparbietà, la sua capacità di penetrare e capire il mondo che lo circonda hanno fatto sì che diventasse un giornalista a tutto campo, uno scrittore di grande successo con libri che hanno rappresentato più che mai il secolo scorso. Tra questi, Socialista di Dio, scritto nei primi anni '80 e La notte della Repubblica, un volume che è una finestra aperta sul dramma del terrorismo italiano durante gli anni '70, ma anche una trasmissione televisiva che ha fatto epoca, per rivisitare e riflettere sugli anni che hanno segnato questo tormentato Paese.
In lui c'è stata anche la grande capacità di intendere lo sport come fenomeno di costume, elemento della vita sociale, e nel 1962 si impose all'attenzione del grande pubblico con un programma messo a punto durante il Giro d'Italia, Il processo alla tappa: «Credo che quel programma sia piaciuto perché oltre ad analizzare tecnicamente la tappa, raccontava piccole storie di umili gregari, di massaggiatori, meccanici, corridori di secondo piano che a volte, anche solo per un giorno, riuscivano a uscire dalla mediocrità con un'impresa magari neppure andata in porto sul finale. Ricordo Lucillo Lievore, un gregario che rimase in fuga, solitario, per oltre 183 km, pur sapendo che sarebbe arrivato soltanto secondo perché distanziato di parecchi minuti dal primo. Piccole storie piene di vita, che mi hanno fatto capire la fatica del ciclismo, ma anche quanto fosse importante, per questi atleti, fare un salto sociale, trovare il loro posto nel mondo, non perdersi. Uno dei personaggi chiave della trasmissione fu, in quegli anni Sessanta, Vito Taccone, scomparso recentemente, che divenne famoso per i suoi successi ma soprattutto per il suo animo battagliero, in corsa e fuori. Era un ospite fisso del programma, che animò con il suo modo schietto di affrontare ogni argomento, e spesso farciva i suoi discorsi con espressioni dialettali, parlava di sua madre, cantava canzoni abruzzesi e si rendeva simpatico al pubblico per la sua straordinaria genuinità».
Il Processo di Zavoli va ricordato perché fu una delle prime trasmissioni, nella giovane televisione italiana, a introdurre una vera e propria rivoluzione tecnologica ed entrarono nel gergo comune, proprio grazie a lui, termini come "ampex", "moviola" e "duplex". Per quanto riguarda La notte della Repubblica, è un esempio di indagine storica, rigorosa e dettagliata, realizzata valorizzando al massimo un approccio non mediato alle fonti dirette, in linea con i tempi e con le esigenze della tivù come mezzo di comunicazione: «Credo che la televisione possa essere utilizzata come mezzo di conoscenza e di indagine. Io mi sono messo al servizio della Rai per fare proprio questo, per far capire cos'è stato il terrorismo, il dramma delle vittime e i sensi di colpa dei protagonisti di una stagione sbagliata, fatta di tante storie eccessive, perennemente al limite».
MAURO MOLINAROLI