Lunedì 14 Gennaio 2008 - Libertà
Prova d'esame, da maestri
"Chicco Bettinardi" - Al Milestone proseguono le semifinali del concorso
Intensa esibizione del Bar Jazz Project
PIACENZA - Il concorso nazionale "Chicco Bettinardi", la competizione per giovani jazzisti inventata e organizzata ogni anno dal Piacenza Jazz Club presieduto da Gianni Azzali, ha un'origine toccante e una bella storia. Nasce per ricordare un amico non più tra noi, con il proposito di rendere omaggio alla sua memoria scoprendo, valorizzando e lanciando nuovi talenti del jazz italiano.
E la carriera di premiati e finalisti all'indomani della loro avventura piacentina (ultime gesta pervenute: la recente esibizione sul palco di Umbria Jazz Winter del pianista adolescente Alessandro Lanzoni, finalista alla seconda edizione del "Bettinardi") è stata, finora, di conforto ai promotori del concorso, la prova che i loro sforzi sono andati a bersaglio.
Dopo avere aperto le danze con i "solisti", l'edizione 2008 del "Bettinardi" (organizzata con il sostegno di Fondazione di Piacenza e Vigevano, Comune e Provincia) è passata l'altra sera anche ai gruppi, con 8 band semifinaliste selezionate su 38 adesioni arrivate da tutta Italia.
Com'è andata la prima semifinale per gruppi, l'altra sera al Milestone? Diciamo che non c'è stata proprio gara. Non è un modo di dire: c'era un gruppo solo, visto che l'altra band prevista in scaletta è stata spostata a un'altra sera per un infortunio occorso al suo batterista (auguri di pronta guarigione!) e per questo è stato giocoforza rinunciare anche al tradizionale "voto di preferenza" espresso dal pubblico.
"Concorrenti unici" della serata erano i Bar Jazz Project, un quartetto proveniente da Roma e formato da quattro bravi musicisti, dell'età media di 23 anni, provenienti da diverse zone del Centro-Sud che sono calati sulla capitale e "lì hanno fatto comunella: il trombonista Davide Di Pasquale, il pianista Francesco Di Gilio, il contrabbassista Alessandro Del Signore e il batterista Roberto Migoni.
Una piacevole sorpresa, perché non si tratta di un solista con tre gregari, ma di un gruppo vero, per feeling, coesione, omogeneità qualitativa, unità di intenti. A proposito di intenti, il passionale e solare trombonista Di Pasquale annuncia: «Con la nostra muisca vogliamo contribuire ad abbattere tutti i muri!». Ma, più che novità barricadere, nella musica dei quattro si sente soprattutto, oltre a una tecnica di caratura sopraffina, una grandissima devozione ai maestri degli anni Cinquanta e Sessanta, alle improvvisazioni modali, alle suites-affresco.
I loro 40 minuti di «prova d'esame» (buoni, ma la jam libera e fuori concorso in cui si sono lanciati dopo è stata ancora meglio) hanno avuto, appunto, il passo epico e fluviale di una suite, con i danzanti tempi dispari della batteria. Il souplesse di Migoni, la "voce" stupefacente del contrabbasso di Del Signore, il lirico pianismo di Di Gilio e le vigorose perorazioni del trombone di Di Pasquale si sono susseguiti, senza soluzione di continuità, in brani come la Linee di luna, La visione di Antonello Salis (ironico omaggio al glorioso guerriero sardo della fisarmonica) e l'innodico finale di Irgendwann fallt jede Mauer il cui titolo altro non è che la storica frase, vergata da una mano anonima su un mattone del Muro di Berlino, che in tedesco significa «Prima o poi ogni muro cade».
E in quel lungo fiume tranquillo che è la musica del Bar Jazz Project, a un certo punto affiora, in mezzo ai pregevoli brani originali, una splendida isola: un vivace, creativo rifacimento di un capolavoro immortale come Freedom jazz dance di Charles Mingus, uno di quei santi patroni che, a qualsiasi impresa giovanile, non possono portare che fortuna.
Alfredo Tenni