Venerdì 21 Dicembre 2007 - Libertà
Gassman convincente: «Non colpevole»
Municipale - Calorosissimi applausi per il giovane attore e regista in "La parola ai giurati" per la stagione di prosa
Dodici attori, una tesa schermaglia, e alla fine la giustizia trionfa
PIACENZA - E' notte a New York, notte d'agosto, e nel cielo sopra la città corrono nubi tempestose. E' lei, New York, con la sua distesa di grattacieli e le sue storie metropolitane, se non a fare da protagonista, certo a creare l'atmosfera, l'aria torrida che diventa sempre più irrespirabile. E riempie di sé, subito dall'inizio, con le sue luci, non solo il grande schermo che fa da sfondo alla scena, ma anche la storia.
«La giuria si può ritirare», suona una voce. E l'azione si sposta dall'aula del palazzo di giustizia ad una sala dove i dodici giurati - tutti uomini - entrano alla spicciolata. L'ultimo a entrare è lui, l'uomo in chiaro, alto e silenzioso, Alessandro Gassman.
Da "una" Gassman a "un" Gassman. Proprio di recente, l'ottobre scorso, Paola era stata in Fondazione per una serata di poesia e musica nell'ambito di Valtidone Festival. Ora Alessandro è in scena al Municipale con altri 11 attori per la stagione di prosa Tre per Te: teatro esaurito, con calorosissimi applausi e ripetute chiamate alla fine.
Un caso di omicidio. Un uomo è morto ammazzato e la vita di un altro è in gioco. Adesso, chiusi in camera di consiglio, La parola ai giurati, come dice il titolo dei due atti, e di parole arrabbiate e feroci i dodici ne consumano parecchie. Il lavoro, ricavato da Twelve angry men (letteralmente "Dodici uomini arrabbiati") di Reginald Rose, ha, sebbene chiuso dal principio alla fine dentro il claustrofobico spazio di una stanza, il piglio dinamico e nervoso di un film giallo (e difatti ne fu tratto anche un film), ed ha un dialogo serrato all'americana e un ritmo rapido e concitato.
La stanza dove sono riuniti i 12 della giuria popolare ha finestre sbarrate, e vi sono chiusi a chiave come per il conclave per eleggere il papa. Mentre gli altri si diffondono in loquaci chiacchiere, malignità e banalità, l'uomo in chiaro è assorto a guardare fuori dalla finestra e a pensare. Quando poi il presidente del consesso chiede «Chi vota colpevole alzi la mano», tutti l'alzano, eccetto lui. «E se ci sbagliassimo» e comincia ad avanzare tutte le sue incertezze e i suoi dubbi.
Quell'uomo è accusato di omicidio di primo grado e rischia la sedia elettrica. Un uomo? Un ragazzo, 16 anni. Il padre gli ha dato due schiaffi e lui, questa è l'imputazione, gli ha ficcato nel petto dieci centimetri di coltello. Scherzano, si scambiano battute e futilità, mentre in una qualche cella c'è un giovane la cui vita è nelle loro mani. Il verdetto sembra già deciso - morte - ma quella specie di Perry Mason si pone interrogativi per cercare di capire, di chiarire.
Intorno a quel tavolo l'atmosfera si scalda, si carica di tensione. E' una torrida notte di fulmini e temporale. «Giochiamo alla battaglia navale», propone uno per noia o come diversivo. Ma torna il quesito terribile: colpevole o non colpevole. «Deve friggere su quella sedia», risponde qualcuno. Si grida e si urla, più d'una volta per poco non si viene alle mani. L'uomo in chiaro non perde mai la calma.
«Quando avevo l'età di quel ragazzo - dice uno degli irriducibili - io chiamavo mio padre signore». In realtà più che il ragazzo i giurati finiscono col giudicare senza saperlo se stessi. Emergono dal passato tristi vicende personali che hanno lasciato il segno, esperienze e sentimenti dolorosi, ricordi sepolti che vengono alla luce con improvvise e inattese confessioni. Anche l'uomo in chiaro è un irriducibile e un testardo, e continua nella sua parte di paladino della legittimità dei dubbi. E con la forza della ragione porta tutti ad uno ad uno dalla sua parte. Quando alle prime luci dell'alba decidono sull'innocenza o la colpevolezza del giovane, il verdetto è: «Non colpevole».
La cosa più notevole del dramma è le veloce schermaglia delle battute, il lavoro corale nel quale nessuno resta né isolato né fuori. Con Alessandro Gassman (interprete e regista) recitano in un ping-pong di battute e in furiose discussioni Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Fabio Bussotti, Paolo Fosso, Nanni Candelari, Emanuele Salce (figlio del compianto Luciano), Massimo Lelo, Emanuele Maria Basso, Giacomo Rosselli, Matteo Taranto e Giulio Federico Janni.
La parola ai giurati si presenta con tutte le caratteristiche di un lavoro a tesi che deve dimostrare la giustezza di una cosa. E per dimostrarla mette da una parte il coacervo - negativo e sconfitto - di pregiudizio, insensatezza, rabbiosa intolleranza, dall'altra la vittoriosa ragionevolezza dei dubbi. E mentre l'autore mette in bocca all'uomo in chiaro argomentazioni sacrosante, attribuisce agli altri parole sciagurate e cretine come «Sappiamo tutti come è fatta questa gentaglia». Mi pare una divisione un po' rozza e manichea. I bravi e gli intelligenti da una parte, i cattivi e gli imbecilli dall'altra.
La didascalica frase (una citazione contro la pena di morte targata Amnesty International) che compare sul finale dello spettacolo mi sembra pleonastica. Ce n'era bisogno? Pensano, Gassman e compagni, di non essere stati sufficientemente chiari o pensano che il pubblico non abbia sufficientemente capito?
Umberto Fava