Venerdì 21 Dicembre 2007 - Libertà
«Anni '70, occore una riflessione»
La rassegna "Testimoni del Tempo" si è soffermata su un decennio cruciale, controverso e ancora irrisolto Il sociologo e figlio dello statista ucciso dalle Br all'auditorium della Fondazione
Giovanni Moro: dai ricordi alla memoria collettiva
L'ultimo appuntamento, prima della pausa natalizia, l'altra sera dei Testimoni del Tempo è stato con Giovanni Moro, sociologo politico, docente alla facoltà di Scienze della formazione all'Università di Roma Tre, presidente di Fondaca (Fondazione per la cittadinanza attiva) e per molti anni segretario generale del movimento Cittadinanzattiva, venuto a Piacenza a parlare degli anni Settanta. Di quel cruciale decennio, infatti, Giovanni Moro, per la sua storia professionale e per la sua storia privata - il professore è figlio di Aldo Moro, lo statista democristiano assassinato nel 1978 dalle Br - è sicuramente un testimone diretto e d'eccezione.
Tanto che, invitato dalla casa editrice Einaudi a scrivere un saggio su quel periodo, ha da poco dato alle stampe Anni Settanta: articolata riflessione su un decennio controverso e ancora irrisolto.
Apprestandosi a illustrare il contenuto del libro al pubblico venuto a incontrarlo all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, Giovanni Moro ha voluto subito chiarire che il proprio saggio intende aprire e non chiudere una riflessione su quel periodo. Una riflessione - ha puntualizzato - che è sempre mancata.
Il libro, ha spiegato l'autore, si fa promotore di una riflessione che consenta a tutti noi di passare dai ricordi (spesso selettivi, che inquadrano il più delle volte solo alcuni dei tanti aspetti di quegli anni) alla memoria collettiva, affinché i ricordi abbiano un senso e diventino patrimonio di tutti, evitando di rimanere monopolio dei testimoni.
Il saggio di Giovanni Moro parte così prendendo in esame quelle che lui chiama le "patologie del ricordo" legate agli anni '70, per le quali in relazione a quel periodo si preferisce non ricordare, scegliendo il silenzio, oppure si prova vergogna o ancora si vive un sentimento di nostalgia; quando non tutte e tre le cose insieme, in una contraddittorietà apparentemente insostenibile, ma che in qualche modo rispecchia i tanti e contrastanti aspetti di quel decennio.
Aspetti che Moro sintetizza nel suo libro analizzando nove parole-chiave, che sono: riforme, partecipazione, autonomia, soggetti, fedi, libertà, comunicazione, violenza, crisi.
E poi ci sono i fantasmi. I fantasmi, ha spiegato l'ospite, sono morti che non riposano in pace e che non lasciano in pace nemmeno i vivi, perché continuano a manifestarsi chiedendo loro di onorare un debito che non è stato pagato. L'Italia - ha detto Moro - in questo senso è piena di fantasmi degli anni '70 (basti pensare che il nostro paese detiene il record mondiale di stragi rimaste impunite), il più ovvio e ingombrante dei quali è quello di Aldo Moro. A quella emblematica vicenda il figlio, a quasi trent'anni di distanza dal rapimento e dall'assassinio del padre, dedica un toccante capitolo del proprio libro, analizzando l'aspetto politico della gestione del sequestro (che egli afferma essere stata improntata su una "non decisione") e chiedendo finalmente di conoscere la verità, a nome di tutti.
«Dal punto di vista della coscienza collettiva - ha detto Moro - la vera giustizia su tutte quelle vicende, dopo trent'anni, è la verità. Ci sono ancora tante cose che dobbiamo sapere. Ora, a trent'anni di distanza, possiamo forse identificare quel periodo più chiaramente, smettendo di nasconderci dietro interpretazioni di comodo e di trattarlo - come si è sempre fatto finora - o con la dietrologia o con il revisionismo».
Nel corso dell'incontro, Giovanni Moro è stato intervistato da Serena Groppelli, giovane studiosa piacentina, rappresentante l'altra sera chi negli anni '70 non c'era ma ha ugualmente il diritto e il dovere - come afferma lo stesso Moro - di conoscere e comprendere quello che è successo.
CATERINA CARAVAGGI