Giovedì 24 Marzo 2005 - Libertà
D'Annunzio poeta prima oscurato e poi rivalutato
Conferenza di Pietro Gibellini
Il breve e interessante ciclo di conferenze dedicate alla figura e all'opera di Gabriele D'Annunzio intitolato "Incontri dannunziani" (promosso dal professor Fausto Frontini, Presidente del Conservatorio di Musica "G. Nicolini", e realizzato in collaborazione con la Fondazione di Piacenza e Vigevano) si è concluso ieri pomeriggio con la relazione di uno dei massimi esperti mondiali di D'Annunzio: il professor Pietro Gibellini, docente di Letteratura italiana all'Università Ca' Foscari di Venezia, collaboratore a vario titolo della Fondazione "Il Vittoriale degli Italiani", direttore della serie garzantina dei "Quaderni Dannunziani" (1987-89), membro del comitato scientifico del Centro nazionale studi dannunziani di Pescara e del Centro studi G.G. Belli di Roma, curatore di varie opere del Poeta presso diversi editori e autore di due saggi su D'Annunzio: "Logos e mythos" e "D'Annunzio dal gesto al testo".
Nella conferenza di ieri, che in realtà avrebbe dovuto aprire la rassegna a inizio marzo ma che era stata rimandata per il maltempo, Gibellini ha tracciato un consuntivo degli studi critici rivolti ad oggi al Poeta, anche in considerazione della vasta riconsiderazione del lavoro e del ruolo di questo protagonista della cultura italiana che è in atto da qualche decennio.
Introdotto dal professor Stefano Fugazza (curatore, insieme a Frontini ,degli incontri), l'insigne studioso ha illustrato "il diagramma di un autore che ha avuto vertiginosi saliscendi". D'Annunzio, ha spiegato Gibellini, fu osannato in vita, ma nello stesso momento in cui morì la sua fortuna cominciò a scivolare su un piano inclinato, che sarebbe diventato vertiginosamente inclinato con il crollo del regime fascista. Tanto che nel 1963, negli atti del convegno per i cento anni dalla nascita del Poeta, Natalino Sapegno, uno dei grandi padri della critica letteraria italiana, scriveva che D'Annunzio poteva ormai liquidarsi come un minore del Novecento.
Da vent'anni a questa parte, tuttavia, come dicevamo, si sta assistendo in Italia a una rivisitazione dell'opera di D'Annunzio, fino a poco tempo prima assolutamente impensabile. Alla luce di questo ritorno di interesse, si è chiesto allora ieri Gibellini, che cosa possiamo dire che rimane oggi di inossidabile in D'Annunzio e che cosa invece è caduco? Innanzitutto, ha risposto lo studioso, occorre distinguere tra il gesto e il testo, tra la vita e la letteratura, tra la biografia e la scrittura: se si separa la figura di D'Annunzio, con i suoi fastidiosi caratteri mondani e narcisistici, dalla sua opera (contrastando una commistione della quale lui stesso fu responsabile) si scopre che qualcosa rimane. Come per esempio, nelle sue opere di teatro, quel disegno di superamento del teatro veristico in favore di un ritorno al simbolismo, attraverso il quale D'Annunzio intendeva riportare il teatro, ridotto a un dramma borghese di tradimenti, gelosia e corna, alla sua grandezza ellenica. O come, per quanto riguarda la sua produzione romanzesca, quella dimensione narrativa tutta interiore che si riscontra ne "Il Piacere", o l'approdo al romanzo-saggio che egli raggiunge con "Il Fuoco", in cui la storia dei due protagonisti è in realtà solo un pretesto per parlare di Venezia, di Tiziano, della malinconia e della finalità dell'arte.
Cate.Cara