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Domenica 20 Marzo 2005 - Libertà

Musica ancestrale allo Spazio Rotative di via Benedettine, successo

Piacenza jazz fest. Africa e folklore, a piedi nudiCon l'ensemble Dinamitri i suoni della Natura

Il pubblico l'ha inizialmente riempita a chiazze. Verso le 8 di sera le prime zolle di un prato multicolore di gente. Un insieme di figure ad incastro geometrico, a formare il quadrato intorno al palco centrale, a fare del vuoto un pieno, nell'area dove prima se ne stava la grande Marinoni, la "mitica" rotativa. E sullo sfondo le proiezioni di Giancarlo Carraro. Chiacchiericcio, poi silenzio. E applausi: si suona. Poi di nuovo applausi, "woo" e si suona ancora. Così gli appassionati del Piacenza Jazz Fest e lo Spazio Rotative di Libertà, in via Benedettine, al suo secondo appuntamento in cartellone, hanno accolto ieri sera il Dinamitri Jazz Folklore, per un altro successo della manifestazione culturale di jazz e attorno al jazz promossa dal Piacenza Jazz Club, in collaborazione con gli assessorati alla cultura di Comune e Provincia, la Fondazione di Piacenza e Vigevano, l'Editoriale Libertà e vari sponsor. Il seguito in musica di una finestra tematica iniziata al mattino, con il convegno nazionale della Società italiana di musicologia afroamericana, e dal titolo Africa e jazz, come ha spiegato Gianni Azzali, presidente del Piacenza Jazz Club, nella presentazione del concerto. Appena dopo, Gianni Cuminetti, presidente del comitato Unicef di Piacenza, a cui è stato devoluto l'intero incasso, ha ribadito l'impegno piacentino per il centro di accoglienza per bambine di strada a Kinshasa e la necessità di aiutare le popolazioni africane. Gli otto musicisti del Dinamitri Jazz Folklore hanno risposto all'appello per l'Africa recuperando, nella loro musica, le radici nere. Nere come la terra stretta in pugno, mentre le lance, i piedi, i tamburi battono un ritmo animale. Un volo migratorio ad inseguire la strada di casa con la suggestione di suoni ripuliti, ricostruiti, ma anche sovrapposti, sovresposti, liberati dalle catene di qualsiasi schiavitù e fusi insieme. Intanto, insistenti ticchettii di una ritmica meccanica penetrano i cuori di carne, tormentano i sensi. L'offerta del Dinamitri Jazz Folklore è un lauto banchetto di tinte che sfilano assieme ai sapori, da assaggiare mentre cavalchi a pelo un cavallo di musica che non si vuole fare imbrigliare, che scalcia e nitrisce. Una corsa allo stato brado, pure a perdere quasi la testa. I Dinamitri guidati a piedi scalzi dal saxofonista Dimitri Grechi Espinoza sono "spaghetti" fini e ottimo condimento che avvolgono ottoni e avorio, corde e pelli di elementi naturali e stupore. Lo stesso stupore in stoffe pregiate e rossi passione, oro imperiale che, forse, provò Alessandro Magno di fronte al primo barrito. Elefanti del jazz in chiave autoctona e allo stesso tempo cosmopolita. Elefanti nel loro incedere possente e maestoso. Elefanti nel loro vagare in fila con ondulamenti ipnotici per distese senza confini. Il "canto" dei fiati è violento e terribile, sommesso e stanco, carico di tensione e memoria. Nel frattempo, un caravan di pachidermi custodi di impronte di uomo nel fango calpesta piantagioni che diventano pascoli di emozione. La musica chiama, il suonatore "prega", il pubblico risponde. È un rito ancestrale, è una mandria impazzita, è una confusione ricercata di delirio e trance, di simboli tribali. Di sangue, pitture, tatuaggi, bruciature e scarnificazioni in chiave jazz. Un successo.

Riccardo Anselmi

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