Sabato 12 Marzo 2005 - Libertà
Sognando la Piacenza del futuro
Speranze e progetti
La Diocesi di Piacenza interroga cattolici e non su un tema importante: "rigenerare la democrazia a partire dalla città". Per ritrovare forme vere di partecipazione sociale, per ridare senso reale alla vita democratica, per appassionare di nuovo i giovani alla cosa pubblica, la città, cioè il primo nucleo di convivenza collettiva, può in effetti essere l'agorà più vicina e fruibile in cui giocarci il senso plurale dell'esistenza.
Con una specificità per Piacenza molto promettente: le dimensioni della nostra città, non troppo grandi ma neppure troppo piccole. Una città dove ancora si può ambire a "conoscersi" e a governare i macrofenomeni urbani, senza subire la complessità frustrante della frammentazione sociale e del caos congestionato delle metropoli e al tempo stesso con una dotazione strutturale e culturale che garantisce una massa critica per interventi collettivi significativi.
Nell'ambito della Settimana Sociale si sono incontrati tre esponenti locali del mondo della cultura e della ricerca a parlare di "sogni". Non nel senso freudiano del termine ma in un'ottica di futuro, speranze, progetti.
Quale città vogliamo per i nostri figli? Quali sogni per Piacenza ? Ne esprimo due. Il primo è di tipo urbanistico pur non avendone nessuna competenza. Come è riconoscibile nel tessuto urbano di Piacenza il nucleo romano (le insulae del castrum), le vie medievali (le strade curve della prima cerchia legata alla Via Francigena).
E poi il costruito rinascimentale e barocco (le mura farnesiane e i meravigliosi palazzi), dovremo essere capaci di lasciare un segno del nostro tempo. Non solo con i palazzi condominiali, in cui ad anonimato edilizio si aggiunge relazionalità compressa e sofferta. Non solo con le aree industriali fatte di ciminiere e capannoni indifferenziati. Non solo con viadotti e tangenziali, pur necessari. Ma con qualcosa di più, che sappia di vita e bellezza: parchi, verde, spazi pubblici, costruzioni innovative e legate alle nuove sperimentazioni artistiche. Le occasioni le abbiamo: le aree ex-Unicem e ex-Acna, così come le amplissime aree militari del centro che costituiscono una città nella città. Sogniamo qualcosa di bello.
Il secondo sogno ha più a che fare con il sottotitolo dell'incontro che cita una frase di La Pira, indimenticato sindaco di Firenze e profeta di pace: "Ogni città racchiude in sé una vocazione e un mistero". Quale vocazione specifica vogliamo per Piacenza? Mi piacerebbe che il cartello che accoglie il visitatore che entra a Piacenza, "città dei bambini", possa essere davvero un'icona della nostra città, la "vera immagine" che vogliamo trasmettere e vivere. Essere città dei bambini può significare molto in termini di interventi e sentimenti pubblici: luoghi fisici più rispettosi e attraenti, politiche educative più evolute, cultura diffusa e attenta a chi ha meno potere e capacità, solidarietà vissuta. Una città dei bambini deve anche rimettersi in gioco nei difficili campi della politica e della regolazione degli interessi. Il primo banco di prova si sta giocando in queste ore, con la nomina del nuovo Presidente della Fondazione. Mettiamo da parte le volontà particolaristiche e le logiche di predominio. Sognando Piacenza con gli occhi dei bambini.
Paolo Rizzi