Giovedì 10 Marzo 2005 - Libertà
Il jazz del gentil sesso
In Fondazione - Molti applausi per il musicologo e la pianista. Bragalini e Cucchi: conferenza-concerto
Di cosa parlare, dovendo parlare di "donne e jazz"? Il Piacenza Jazz Fest, nella conferenza-concerto e svoltasi l'altra sera nell'Auditorium della Fondazione, ha onorato la Festa della Donna in modo non banale. Luca Bragalini, musicologo di autorevolezza internazionale e di poderosa dottrina su quanto concerne la musica afroamericana, è andato alle radici della faccenda: l'apparire di una "immagine della donna" nella tradizione musicale dei neri d'America; e, precisamente, nel blues. A good man is hard to find ("Un brav'uomo è difficile da trovare") si intitola una canzone di Alberta Hunter resa immortale nel 1927 da una dolente incisione di Bessie Smith, "l'Imperatrice del blues". A good man is hard to find era anche il titolo della conferenza di Bragalini; e Bessie Smith, con la grande Ma Rainey, ne era protagonista. Non è solo la biografia di queste due artiste - personalità forti, libere, spregiudicate - a ribaltare molti luoghi comuni sulla condizione femminile in quell'epoca, ma anche i temi "protofemministi" delle loro canzoni: ribellione alla prepotenza maschile, inni all'amore libero e persino (come nell'esplicita Prove it on me, incisa da Ma Rainey nel 1928!) all'amore lesbico. All'immagine femminile sorprendentemente emancipata che troviamo nei blues "delle donne" si contrappone quella, sessista e misogina, che impera nei blues "degli uomini", a partire dai testi del più grande bluesman di sempre, il "diabolico" Robert Johnson, che però, nella sua celeberrima Love in vain (cui Bragalini ha dedicato Love in vain e l'Ultimo Viaggio, un magistrale saggio pubblicato su jazz.it), canta con toni struggenti il distacco da una donna chiamata Willie Mae. Con lo spettro di Robert Johnson (e del suo demone, e anche di Willie Mae) si è aperta e chiusa la metà "parlata" dell'incontro. Quella musicale, invece, era affidata a Silvia Cucchi, pianista torinese di cristallina preparazione classica che l'anno scorso si è classificata terza - unica donna giunta in finale - al concorso Nuovi Talenti del Jazz Italiano. Conscia del fatto che il grosso della storia del jazz è fatto di "canzonette" (tali erano, in origine, i venerabili temi del Real Book) rivisitate sull'onda dell'improvvisazione, Cucchi ha reso omaggio, giusta il tema della serata, alle "signore" della musica leggera nostrana: Mina (Ancora, ancora, E se domani), Mia Martini (Almeno tu nell'universo, Notturno), Ornella Vanoni (Sally di Vasco Rossi), con Barbra Streisand invitata nel finale come ospite straniera (People). Ma non c'era nulla di sanremese in questa classicheggiante Fantasia sopra Mina, Mia e Ornella, nella quale tante familiari melodie erano rielaborate fino all'irriconoscibilità. Questo aristocratico pianismo (memore, oltre di John Taylor, maestro di Cucchi alla Hochschule für Musik di Colonia, di Keith Jarrett e persino di Lennie Tristano), poteva sembrare agli antipodi dell'intensità rustica e terrena di Ma Rainey e Bessie Smith, della forza ancestrale del loro canto che veniva dritto dal cuore e dai genitali. Invece un legame c'era, e profondo: quella tradizione matrilineare in forza della quale ogni donna che oggi suoni - bene - il jazz rende implicitamente omaggio alle antenate che "hanno iniziato tutto".
Alfredo Tenni