Domenica 16 Dicembre 2001 - Libertà
"Nucleare addio. Ma abbiamo fatto bene?"
Rievocata la figura di Fermi: e si parla della centrale di Caorso
In Italia il termine nucleare continua a far paura. In passato ne ha fatta tanta da far sì che l'Italia, unica nazione al mondo, ripudiasse il nucleare quale fonte di energia elettrica. Un vero tabù, conseguenza dell'interpretazione politica del referendum dell'87, in realtà finalizzato a dire sì o no a una legge che prevedeva incentivi ai comuni che ospitavano impianti nucleari. Ma si potrebbe anche essere costretti a tornare su quei passi. Certo è necessaria una maggiore conoscenza del problema, informazioni più approfondite e minore emotività. In poche parole una maggiore maturità, da parte di noi tutti. Queste sono le conclusioni emerse nella conferenza "Caorso-Chicago-Caorso. Dall'avvio del primo reattore nucleare alle moderne centrali. La situazione italiana", tenuta dall'ingegner Giuseppe Bolla, nell'ambito della rievocazione di Enrico Fermi, promossa dalla Scuola S. Benedetto e voluta dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano. Giuseppe Bolla, caorsano di nascita, ingegnere nucleare dal Politecnico di Milano entra all'Enel durante il periodo di avviamento dell'impianto di Caorso, dopo un periodo in Francia da ricercatore universitario. A Caorso è Capo Centrale dal 90 al '97. Ora è alla Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari), responsabile di tutti gli impianti nucleari e assistente dell'Amministratore Delegato. L'era nucleare, ha ricordato Bolla, è nata con Fermi a Chicago, il 2 dicembre 1942, con il collaudo della prima "pila atomica" della storia. Un gruppo di allievi del Respighi, che, nell'ambito del Progetto Set, sta facendo ricerche sulla radioattività, ha mostrato la foto della targa che gli americani hanno posto, a perenne ricordo, davanti al Fermilab a Chicago. Negli anni '50 l'Italia si avvia entusiasticamente a costruire reattori nucleari che producano in modo controllato potenza termica da trasformare poi in potenza elettrica. Merito di validissimi scienziati: Amaldi, Silvestri, Salvini. La prima centrale atomica del mondo è del '54 e è russa, a Obninsk. Nel '56 seguono gli inglesi con l'impianto di Calder Hall. Nel '57 a Shippingport sorge la prima centrale americana. Nel '59 il Cnen costruisce a Ispra il primo reattore nucleare italiano, di ricerca. Nella prima metà degli anni '60, in Italia, entrano in esercizio ben tre centrali nucleari: a Latina, al Garigliano, a Trino Vercellese. L'Italia è al terzo posto nel mondo per produzione nucleare. Ovunque ci si attrezza per lo sfruttamento di questa nuova fonte d'energia. Negli anni '70 l'Italia scende al 14° posto. Ma c'è ancora molto entusiasmo: l' Enel prevede di arrivare per il '90 all'80% di potenza elettrica dal nucleare. Non ci arriverà mai. Sarà la Francia a realizzare questo obiettivo. Nel '81 inizia l'esercizio commerciale della Centrale di Caorso. L'Italia è in grado anche di fabbricarsi il combustibile e di seguire tutte le fasi del ciclo nei suoi impianti. Che funzionano molto bene. Addirittura qualcuno realizza record mondiali, ricorda Bolla. Gli scarichi nell'ambiente sono solo frazioni di quanto è autorizzato: non si potrebbe chiedere di meglio. Poi il disastro Chernobyl. Un grosso dibattito, il famoso referendum e immediatamente lo stop a tutti gli impianti nucleari. Caorso, che era ferma per una normale operazione di ricarica del combustibile, non riceverà mai più l'autorizzazione al riavvio. Inizia l'era della dismissione degli impianti. Ogni residuo di radioattività deve essere eliminato. L'operazione tecnologicamente è molto complessa, lunga e, per certi versi, nuova. La scelta politica italiana è di ripristinare i siti che ora ospitano gli impianti nucleari a "prato verde", cioè renderli riutilizzabili per gli usi convenzionali. Tutto deve essere azzerato entro il 2020. Arturo deve sparire entro il 2017. Sogin ha appena ultimato il progetto per l'intero percorso di dismissione delle 4 centrali italiane. Costo circa 4.500 miliardi di lire. Reperibili in parte dalla bolletta Enel. La gestione dei rifiuti è una delle tappe più significative della dismissione. E' indispensabile un deposito nazionale di rifiuti radioattivi, che si producono anche da attività industriali, di ricerca e mediche. Dovrà entrare in esercizio nel 2009. Ma gli italiani non vorrebbero nemmeno sentirne parlare. E sì che negli altri paesi questi depositi già esistono, osserva l'ingegnere. E le regole sono state fissate e la gestione del nucleare gira, certamente sotto controllo di rigide regole e prescrizioni, ma gira. Il piano Sogin prevede che ogni centrale tratti i propri rifiuti a bassa attività e li tenga temporaneamente stoccati, in attesa di trasferirli in via definitiva nel deposito nazionale, dove, nel corso di 200/300 anni, smorzeranno la loro radioattività fino a confondersi con quella ambientale. Nel deposito nazionale verranno temporaneamente stoccati anche i rifiuti ad alta attività. Questi andranno poi definitivamente sistemati in depositi geologici profondi, dove continueranno a lavorare per migliaia e milioni di anni. L'aver abbandonato il nucleare, dice Bolla, ha significato perdere la capacità industriale di gestire tecnologia di punta e sistemi complessi. In un'ottica ampia, prosegue, è indispensabile saper sfruttare tutte le fonti energetiche: oli combustibili, carbone, gas, l'atomo. Chernobyl ha rallentato il nucleare in tutto il mondo. Ma ora, dagli Stati Uniti alla Cina, questa fonte di energia sta tornando in auge.
LUISA FOLLINI