Lunedì 7 Marzo 2005 - Libertà
Cara professoressa, la sua è una lezione di vita
Una grande Paiato nel testo della Razumovskaja a Fiorenzuola per la stagione di prosa
Auguri, baci e un mazzetto di fiori primaverili per la professoressa di matematica che compie gli anni. "Buon compleanno, cara professoressa, e cento di questi giorni". Che bravi ragazzi che si ricordano della loro insegnante; che buoni sentimenti che insegna la scuola. Così almeno sembra all'inizio. Perché questa storia non è una storia alla De Amicis, ma la storia di una notte lunga e crudele, che se insegna qualcosa è che le ingiustizie, le discriminazioni e le lotte e le crudeltà della vita cominciano, o possono cominciare, sui banchi di scuola. Con Cara professoressa della russa Ljudmila Razumovskaja è proseguita al Capitol di Fiorenzuola la stagione di prosa comunale diretta da Paola Pedrazzini. Anche stavolta pubblico folto, molti applausi alla fine ed uno spettacolo di qualità ben recitato e orchestrato che prende alla gola lo spettatore con la forza dell'impatto emotivo e il crescendo dell'azione aspramente drammatica. In scena la brava Maria Paiato, nelle dimesse vesti della professoressa del titolo, semplice e ingenua, disarmante sguardo di donna sola, patetica aria di zitella, sorpresa da un'inaspettata visita tra le pareti di casa grigie e scolorite come lei, come la sua esistenza appassita e rassegnata. Lei, apparentemente conciliante e indifesa, intimamente forte e agguerrita, assediata nella sua casa - trasformata in un campo di battaglia - da quattro suoi alunni, giovani d'assalto e senza scrupoli, impersonati dai validi Claudia Coli, Denis Fasolo, Fulvio Pepe e Aram Kian. La regia è di Valerio Binasco, la scena di Mario Panzuto, la produzione della Fondazione Teatro Due di Parma. Nel buio fitto che precede l'inizio della storia, si percepisce il suo sfaccendare in cucina per prepararsi la solitaria cena. Una povera cucina, una povera casa, si vedrà subito dopo, quando s'accendono le luci, di modesti arredi, pareti mal tinteggiate e ormai stinte, tubi dell'acqua che passano lungo il muro, cucina e soggiorno con letto divisi da una parete che non si vede e che si deve immaginare. Chi suona ora alla porta, chi arriva improvvisamente? L'improvvisata gliela fanno quattro suoi studenti. Entrano dicendo educatamente "permesso" e portando un regalo e lo spumante. Ci scappa anche qualche lacrima di commozione (la professoressa), un po' di musica e perfino un valzer. "Cento di questi giorni": alla cara professoressa ne basterà uno solo - quello - per tutta la vita. Quegli auguri, sorrisi e convenevoli si riveleranno un gioco crudele. Dicono d'aver bisogno di un favore, di un aiuto. "Cosa devo fare?", chiede lei. La mattina a scuola hanno fatto il compito in classe, una prova importante da cui può dipendere anche il loro futuro: uno l'ha sbagliato, un altro l'ha consegnato in bianco. Ebbene? Lei ha la chiave del loro futuro, ossia la chiave della cassaforte dove sono rinchiusi i compiti. Dovrebbe consegnargliela, l'useranno per aprire la cassaforte e sostituire quei compiti disastrosi con altri perfetti. L'azione scenica si trasforma in un logorante corpo a corpo dialettico e anche fisico, in un duro scontro fra due generazioni a confronto, fra ideale e pragmatismo, tra fede in qualcosa e cinismo, tra ciò che è morale e ciò che non lo è. Lei lotta strenuamente e coraggiosamente per i suoi principi che non vuol tradire, loro lottano ferocemente per la loro vita. Per un voto insufficiente, dicono, uno sarà costretto a fare l'operaio in fabbrica tutta la vita, ad un altro toccherà partire per soldato, forse per la guerra, chissà dove. Ecco, siamo al cuore del problema e del teatro della Razumovskaja, il teatro del poter dire e denunciare quelle cose, del poter parlarne, discuterne e non tacerle più, non tenerle sotto silenzio, sotto censura, sotto chiave; il teatro della Perestroika, il nuovo corso col quale, insieme alla Glasnost (la trasparenza), Gorbaciov aveva iniziato nell'Unione sovietica degli anni '80 a seppellire il comunismo. Ma già negli anni '60 in Italia il mondo della scuola, della selezione scolastica e del sistema classista era stato aspramente preso di mira dalla Lettera a una professoressa scritta dalla Scuola di Barbiana (leggi don Lorenzo Milani). Anche qui si comincia con un "cara": "Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti... Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate". I quattro frugano la casa e anche la professoressa in cerca della chiave. Non la trovano. L'insegnante cede solo per far cessare la violenza che i tre ragazzi stanno compiendo sulla loro compagna. Consegna loro la chiave, ma a questo punto colpo di scena: vi rinunciano. Poi il duro, il debole, lo stupido e la cinica se ne vanno alla spicciolata. La professoressa ha dato loro un'altra lezione, non di matematica, ma di vita e di forza.
Umberto Fava