Domenica 17 Febbraio 2002 - Libertà
Il doppio volto della principessa Nure
Pubblico numeroso alla Fondazione per la proiezione del film sperimentale sul torrente che attraversa l'omonima vallata. Presentato il lungometraggio del giovane regista di Ferriere
Piacenza - Venerdì sera all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano è stato proiettato in prima visione Nure, lungometraggio di Dino Maucci, giovane regista di Ferriere. Maucci - nel mondo del cinema dal 1997 come aiuto regista di Gian Vittorio Baldi con il quale è stato impegnato nella realizzazione del film Il temporale girato in Bosnia e in Italia - fa della distruzione dell'inquadratura e dello smembramento di un apparato narrativo gli ingredienti fondamentali del suo modo di intendere il cinema. In questa logica un racconto rappresenta uno strumento per proporre un linguaggio estetico di tipo inusuale, il rifiuto di tutti gli elementi che inducono ad un preciso itinerario di lettura. Questa una possibile chiave di lettura di Nure, film dichiaratamente sperimentale, articolato su sette racconti per complessivi 112 minuti. Nelle inquadrature iniziali un bimbo cerca di collocarsi all'interno di un particolare ciclo dell'acqua, artificiale, perché ha origine in una fabbrica delle nuvole: è lì che vive una giovane e solitaria principessa in abito dal colore blu intenso. Il vestito è forse l'acqua che scorre, la vita che passa, fatta di presente ma anche di ricordi; ed ecco che la principessa Nure possiede un volto nell'intimità e un volto diverso che compare in tutti i racconti. Un padre intanto, accompagna la sua figliola all'interno della conoscenza, che ha sembianze di una torre altissima, dalla quale si possono scorgere la torre Eiffel e le teste delle giraffe; un atlante panoramico. Il souvenir più bello che un uomo e una donna possano ricevere in dono da una gita naturalistica è sicuramente un bimbo, anche se poi la fanciullezza si scontrerà con una realtà spesso cruda, una maturità vissuta su di un terreno franoso, dove le geografie sono tante e tutte diverse fra loro. Quello che però, davvero, carica l'esistenza, è l'amore (ingenuo) tra due ragazzi che vivono scambiandosi parole in viaggio, oppure quello che ognuno di noi reputa essere l'oggetto del desiderio. Il montaggio discriminato dell'ultima riflessione, dove una scrittrice pensa a voce alta il testo di una poesia, parole disturbate da cani che abbaiano, trattori in azione sul terreno, telecamere instabili e addirittura la musica di chiusura che si sovrappone alle parole del testo. Il pubblico - accorso numeroso da gremire la sala - è rimasto attento e composto per tutti i 112 minuti del lungometraggio privo di effetti speciali, con personaggi che si materializzano nel nulla, pochi dialoghi, e molte simbologie. Gli applausi tra la prima e la seconda parte e i commenti finali hanno testimoniato il gradimento di un'opera qualche volta di non immediata intuizione. Il film, infatti, non è un affresco di cultura locale, né vuol spiegare qualcosa. Come il Nure chiede semplicemente di essere guardato e ascoltato nel suo scorrere lento tra i sassi o impetuoso nelle rapide, il film è una finestra attraverso la quale vorremmo scorgere un panorama diverso ogni volta che ci affacciamo; le situazioni raccontate sono probabilmente riuscite a dire qualcosa all'anima di molti spettatori. Si tratta di racconti da non subire, destinati a non essere consumati in fretta.
Renato Passerini