Giovedì 3 Marzo 2005 - Libertà
Gentile e Croce, filosofi contro
Sergio Romano sulla figura del grande intellettuale siciliano negli anni del regime fascista. La rottura al momento in cui l'Italia entrò in guerra
Si è aperto ieri pomeriggio il ciclo di incontri "L'Italia tra le due guerre. Politica e cultura", organizzato dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano in collaborazione con il Centro studi "Beonio-Brocchieri" di Lodi, con la conferenza dal titolo "Giovanni Gentile tra cultura accademica e impegno politico", tenuta da Sergio Romano. Ex ambiasciatore, scrittore, saggista ed editorialista del Corriere della Sera e di Panorama, Sergio Romano è stato chiamato ieri a Piacenza nella sua veste di storico e, in particolare, di esperto di Giovanni Gentile, sul quale ha scritto, nel 1984, la biografia "Giovanni Gentile. Un filosofo al potere negli anni del regime", rieditata da Rizzoli lo scorso anno con una nuova prefazione. Dunque la vita di Giovanni Gentile è stata al centro della conferenza di Romano, dalla nascita del filosofo siciliano alla morte dello stesso, avvenuta per mano di un gruppo di partigiani fiorentini nel 1944. Partendo dal profondo legame di amicizia e di collaborazione intellettuale che Gentile ebbe con Benedetto Croce, Romano ha raccontato come le idee di questi due grandi filosofi, che lavorarono insieme, nella rivista "La critica", al rinnovamento culturale dell'Italia, fossero in realtà divergenti. Mentre Croce era il filosofo del neoidealismo, infatti, Gentile fu il filosofo della prassi e inevitabilmente fu attratto da momenti storici in cui l'azione diventa determinante, tanto che una prima rottura tra i due si ebbe nel momento in cui l'Italia entrò in guerra, con una decisione di cui Gentile subì il fascino e a cui Croce si oppose. Eppure i rapporti tra i due filosofi, ha proseguito Romano, rimasero buoni ancora per qualche anno, anche quando Gentile nel '22 fu nominato ministro della Pubblica Istruzione nel primo governo Mussolini (attuando la migliore riforma scolastica della prima metà del secolo), fino al gennaio 1925, quando, dopo la svolta autoritaria del governo Mussolini, i due si divisero, divenendo i capofila di due grandi gruppi di intellettuali: quelli che ruppero con il fascismo, raccogliendosi nel "Manifesto degli intellettuali antifascisti", e quelli che scelsero di investire le proprie speranze nel fascismo e in Mussolini, raccogliendosi nel "Manifesto degli intellettuali fascisti". Gentile, ha spiegato Romano, offrì al fascismo quei quattro quarti di nobiltà intellettuale di cui esso aveva bisogno, una teoria organica su cui fare riferimento. Tuttavia la sua posizione fu diversa da quella del regime su tre punti fondamentali: la questione della libertà di discussione (che Gentile riteneva indispensabile anche all'interno di un partito unico e che applicò nella redazione della "Enciclopedia Italiana", alla quale parteciparono intellettuali fascisti e antifascisti), il concordato con la Chiesa cattolica (al quale Gentile si opponeva in nome di uno stato etico, che doveva essere totalmente responsabile della vita morale dei propri cittadini) e le leggi razziali (che lui stesso violò aiutando diversi intellettuali ebrei a mettersi in salvo). In realtà, ha aggiunto Romano, le idee di Gentile avevano uno stretto rapporto di consanguineità con quelle di Gramsci e lui stesso, come già avevano fatto alcuni suoi allievi, arrivò a un passo dalla "scivolata a sinistra". E se Togliatti rivendicò l'assissinio di Gentile, fu proprio perché sapeva che il frutto del suo lavoro poteva essere utilizzato dal Partito Comunista e che sarebbe stato più facile farlo, per i "figli", dopo l'uccisione del "padre". Ecco perché, ha concluso Romano, possiamo dire che con Gentile la sinistra italiana ebbe un maestro inconfessato, accusato pubblicamente e stimato privatamente.
CATERINA CARAVAGGI