Mercoledì 2 Marzo 2005 - Libertà
Il cenno poetico di Nello Vegezzi
Considerazioni per chi non conosce le opere dell'artista piacentino
Nei giorni scorsi sono state dette su "Libertà" cose molto precise e condivisibili, da parte di Gianni Zambianchi e di Orazio Gobbi dell'Associazione culturale Kairos, sulla questione della intitolazione di uno spazio pubblico piacentino a Nello Vegezzi.
Una città come Piacenza dovrebbe solo essere onorata di intitolare qualcosa alla memoria del poeta, pittore e scultore concittadino Nello Vegezzi. Coloro che non sono bene informati sull'attività artistica di Vegezzi o che sono carichi di pregiudizi e disprezzo nei suoi confronti dovrebbero almeno fare due
cose: da un lato, tentare di fare i conti radicalmente coi propri pregiudizi, le proprie cecità e i propri rancori, dall'altro documentarsi seriamente su ciò di cui si sta discutendo. Ad esempio, ancor oggi in alcune librerie piacentine sono disponibili volumi significativi e importanti di Vegezzi o su di lui. Mi riferisco soprattutto al catalogo pubblicato dalle edizioni Kairos in occasione della mostra "La rivolta e l'incanto. Poesia, pittura e scultura in Nello Vegezzi", svoltasi nella primavera 2004 presso la Galleria d'Arte Moderna Ricci Oddi; oppure all'antologia poetica vegezziana "Le radici dell'esserci"
curata nel 1992 da Vanni Scheiwiller per la sua stessa prestigiosa casa editrice; oppure al volume di poesie "Terra e carne d'amore", pubblicato postumo nel 1995 dalle edizioni Grafic Art di Piacenza. Non mancano dunque i riferimenti bibliografici disponibili a qualunque studioso o a qualunque persona che voglia documentarsi seriamente e non limitarsi all'ingiuria, all'astio e alla chiacchiera superficiale. Leggendo ad esempio le seguenti due poesie di Vegezzi, che sono fra le sue ultime, scritte nella primavera del 1993, come sarà possibile definire il Nostro "né artista né poeta", come sostiene qualcuno?
Leggiamo "Gli occhi di Anna"
E' notte
la luna lassù
mostra due occhi
color caffè
due occhi
ferìni...
son gli occhi
di Anna
mai baciati
abbastanza...
E ancora Elena:
ti amo Elena
Venere ed Afrodite
nata di Giove e di Diana
ma venuta dalla spuma del mare...
e come Giove si cangiò in formica
per godere di Clitoris
figlia del mirmidone
io
mi cangerò in aria
affinché tu mi respiri
mi cangerò in terra
affinché tu mi calpesti
io
mi cangerò in acqua
affinché tu ti bagni
io
mi cangerò in fuoco
affinché tu ti riscaldi
poi mi cangerò in Nello
affinché tu mi ami...
Sono solo due esempi, ma molti altri potrei fare, per dimostrare il valore artistico della poesia vegezziana, testimoniato fra gli altri da Pier Paolo Pasolini, Dacia Maraini, Giambattista Vicari, Pier Giorgio Bellocchio, Francesco Leonetti, Alfonso Berardinelli, Andrea Zanzotto, Vanni Scheiwiller.
L’opera di Vegezzi - che attende ancora di essere ben conosciuta e valorizzata, che lascia aperti i problemi della pubblicazione degli inediti e di una edizione critica delle opere - ci appare oggi caratterizzata da una singolare ricchezza di temi, toni, corde, motivi e prospettive.
Fondamentalmente egli è sempre stato un finissimo artista dotato di senso amoroso per le cose, un uomo attento e sensibile ai molteplici aspetti di ciò che chiamava il "cosmotutto" , per il quale di volta in volta il pioppo, il Po, la terra, la quercia, l' uomo in rivolta, l'airone, il campo di grano, i papaveri, la luna, il sole, la neve sulle colline, il gatto, etc. divenivano centri animati e colorati, simboli dal significato complesso, metafore, cose palpitanti e importanti da salvaguardare e da amare.
E’ difficile parlare di questa tenerezza e di questi amorosi sensi di Nello a chi lo ha conosciuto superficialmente e attraverso etichette riduttive o infamanti. Se gli aspetti meno noti della sua produzione fossero fatti risaltare, ci si potrebbe rendere conto della complessità della sua opera e della grandezza dell'eredità che ci ha lasciato, perché grandi ed essenziali sono i temi di cui si è occupato col suo peculiare stile e senso estetico: la vita, la morte, il sesso, l’amore, il piacere, la bellezza, il dolore, la natura, la libertà, il destino. Quando offre il suo meglio, Vegezzi perviene a risultati poetici convincenti, di grande lirismo e incisività, il suo canto ci emoziona, stimola, affascina.
Ritengo che una profonda ispirazione unitaria percorra tutta la sua opera di pittore, scultore e poeta, per cui leggere una sua poesia, interpretare i suoi quadri o le sue sculture ci riporta - fatte salve ovviamente le peculiarità delle diverse attività artistiche - ai medesimi temi essenziali, ad uno stesso stile fondamentale che poi si esplica in molteplici forme espressive. Per ciò rimane valida a mio avviso la tesi di Gustavo Foppiani, secondo cui scultura e pittura rappresentano la continuità visiva dell'opera di Vegezzi. Le sue creazioni fanno cenno, sono uno stimolo continuo a vivere e a capire, all’immaginazione, ad aprire coraggiosamente l’interpretazione alla ricchezza inesauribile del reale, alla sua ulteriorità di senso.
Vegezzi, cantando, ha sofferto e gioito per sé stesso e per tutti. Il poeta è anche e soprattutto l’uomo della bellezza e della ricchezza del reale, il quale s'avvede dei tesori nascosti e perduti, delle perle e delle gemme del mondo, delle miserie e dell'immenso dolore che ci circonda, delle possibilità a noi dischiuse.
Come cantore egli è un segno che fa cenno verso ciò che ci è proprio, nella direzione di ciò che non solo è da pensare, ma anche da vivere. Il suo è il lucido e appassionato canto del grande cuore che rifonda l’abitare dei mortali, invitati a dare il meglio di sé nell'amore. Sta a noi soltanto porre attenzione a questi segni.