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Domenica 3 Febbraio 2002 - Libertà

La storia si può anche cantare

Importanza e momenti della tradizione popolare

Ci sono i pastori e i contadini, i falegnami e i carrettieri; c'è la raccolta dell'uva e la processione del patrono. E c'è il canto popolare che, dalle ottave dei carrettieri siciliani alle boare romagnole, attraversa tutta la storia della penisola. La tradizione popolare, il suo valore e la necessità di avviare un nuovo percorso di studi: di questo si è parlato ieri alla Fondazione di Piacenza e Vigevano nel corso di un seminario di lavoro al quale hanno partecipato appassionati e diverse classi di studenti delle scuole piacentine. La giornata, che prevedeva una sessione mattutina dedicata all'approfondimento scientifico e un ricco spettacolo musicale proposto nel pomeriggio, è stata organizzata da "Controcanto", un gruppo fondato recentemente a Milano con lo scopo di riscoprire e ripercorrere momenti della tradizione popolare italiana. I lavori, introdotti e coordinati da Mariangela Doglio dell'Università Statale di Milano, sono stati aperti dalla relazione di Giorgio Botta, docente di geografia umana all'ateneo milanese e fondatore di "Controcanto". Nelle cento città delle cento Italie la tradizione popolare è una radicata espressione di quel mosaico di aree culturali variamente condizionate dell'influsso mediterraneo e continentale. Giorgio Botta ha più volte evidenziato nel suo intervento come i diversi luoghi abbiano generato certi tipi di musicalità. "I balli e i canti, così come sono stati musicalmente concepiti e poi eseguiti, riecheggiano la specificità dell'ambiente fisico ed umano. Pensiamo a certi suoni nati per essere lanciati da un versante all'altro della valle, come segnali e richiami. Negli spazi di pianura i canti delle mondine o le ballate sull'aia ci dicono tutto del lavoro e della socialità di quelle regioni culturali. Non solo, ma le condizioni fisiche di un luogo hanno fortemente influenzato la realizzazione degli strumenti musicali. Nelle zone di pastorizia sono nati strumenti con le pelli di animali, mentre nelle aree boschive o paludose sono stati costruiti numerosi strumenti a fiato. Ogni strumento conserva poi testimonianze morfologiche e funzionali che rinviano alle corti comunali, alle piazze rinascimentali e ai teatri barocchi. La cultura dei luoghi, contaminata ed arricchita da influenze esterne, ha anche condizionato il ritmo musicale. Le zone meridionali della nostra penisola costituiscono un felice esempio di complessità e ricchezza musicale. I ritmi, spesso assai veloci e ben scanditi, caratterizzati da particolari modalità di composizione, riflettono sicuramente la loro provenienza dalle aree africane. E in tutte le zone d'Italia, dalle valli chiuse tipiche dei territori delle quattro province, Pavia, Alessandra, Piacenza, Genova, a quelle più ampie che dal cuneese portano verso la Francia alla estesa pianura del Po a tutte le zone litorali del Tirreno e dell'Adriatico, si sono sviluppate peculiari tradizioni musicali". Liana Nissim, docente dell'Università statale di Milano e Grazia Grossetto, esperta di canti della tradizione, hanno proposto una lettura approfondita della musica di tradizione orale. "Una musica - ha evidenziato la Grossetto - il cui studio comporta grosse difficoltà. C'è innanzitutto il problema della trascrizione perché tali musiche, che mutano continuamente, assumendo forme diverse e mescolandosi con altre melodie, non sono così legate ad intervalli regolari. I cantori peraltro utilizzano emissioni particolari ed anche abbellimenti personali. La musica popolare è proprio come un essere vivente, che cambia ad ogni minuto. Questa è la sua bellezza, ma anche la sua complessità". "La cultura popolare ha una sua autonomia rispetto a quella colta e non si deve più parlare di subalternità, ma piuttosto di influenza reciproca - ha sottolineato Liana Nissim -; gli strambotti di Poliziano e di De' Medici, ad esempio, sono di origine popolare e non dimentichiamo che la cultura popolare, tutt'altro che frammentaria e discontinua, ha una sua organicità". Le due studiose hanno presentato all'auditorio del Sant'Eufemia diversi esempi di canti popolari, secondo una triplice categorizzazione: componimenti giocosi, occasionali, ideali-permanenti. Ecco allora allegri stornelli e strambotti, costruiti con brevi strofe, che scandiscono il calendario contadino. Ecco canti occasionali che ci raccontano della drammaticità delle guerre e che accompagnano le lotte sindacali e politiche, le manifestazioni contestative e rivendicative, ma anche le tante migrazioni. Ci sono i canti ove ritornano i miti e ci sono musiche a destinazione liturgica ove è spesso possibile trovare il rimando alla lauda tardo-medioevale, ai lamenti siciliani e a tutto il repertorio delle confraternite e dei sodalizi caritativi. E si tramandano inni e litanie con invocazioni alla Madonna e ai santi protettori incastonate nella struttura metrico-melodica del canto". Nel pomeriggio il gruppo "Controcanto", con il coordinamento vocale di Angelo Pugolotti, ha proposto la rassegna "Le opere e i giorni. Canti, parole, immagini della tradizione". In programma diversi canti mondini, ma anche canti siciliani, laziali, campani, abruzzesi, pugliesi e lombardi; tra le letture, testimonianze delle mondariso ed alcuni testi de "Il mondo dei vinti". Fanno parte di "Controcanto" Giorgio Botta, Rocco Cicoria, Elvira d'Arrigo, Walter Forzani, Grazia Grossetto, Anna Nicotra, Sonia Nissim, Angelo Pugolotti e Stefano Vistarini. L'obiettivo del sodalizio è quello di recuperare dal silenzio il canto popolare, "affinchè - hanno ribadito i componenti - la canzone popolare torni ad essere familiare e non a costituire un momento di diversità".

DANIELA MORSIA

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