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Mercoledì 2 Marzo 2005 - Libertà

Romano racconta Giovanni Gentile

Da oggi all'auditorium della Fondazione il ciclo di incontri "L'Italia tra le due guerre. Politica e cultura". "Un intellettuale che contribuì all'unificazione nazionale"

Si apre oggi alle 17, all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, "L'Italia tra le due guerre. Politica e cultura", ciclo di incontri organizzato dalla Fondazione in collaborazione con il Centro Studi "Beonio-Brocchieri" di Lodi, con Sergio Romano, che verrà a parlare di "Giovanni Gentile tra cultura accademica e impegno politico".
Al relatore, ex ambasciatore ed editorialista del Corriere della Sera e di Panorama, abbiamo rivolto alcune domande, sul tema dell'incontro di oggi e, più in generale, sulla situazione internazionale attuale.
Al di là dei giudizi sommari e delle condanne ideologiche che ne hanno a lungo segnato la memoria, che cosa ha rappresentato Gentile per l'Italia?
"Naturalmente, la migliore riforma scolastica della prima metà del secolo, che ha avuto il grande merito di contribuire alla formazione di una borghesia con una formazione culturale omogenea, che aveva fatto studi analoghi e che quindi condivideva criteri di giudizio, visione del passato... In un certo senso, dunque, Gentile dette un grande contributo all'unificazione nazionale. L'Italia, infatti, si era unificata nel 1861, ma sul piano sociale l'unità restava da fare".
Lei afferma che l'ideologo del fascismo Gentile fu ispiratore della sinistra italiana. Com'è possibile?
"Innanzitutto, Gentile aveva contribuito al dibattito sul marxismo alla fine dell'800, quindi conosceva bene il pensiero di Marx. Indubbiamente lui era attratto dalla filosofia della prassi, che per certi aspetti è uno dei fondamenti teorici del pensiero marxista. Credo tuttavia che la socialità nel pensiero di Gentile appaia un po' più tardi, nel 1942-43. Una prima traccia la si trova nel suo discorso in Campidoglio nel '43 in cui si rivolge ai comunisti come "corporativisti impazienti", dicendo loro, in altre parole, che essi possono arrivare dove vogliono arrivare attraverso la strada del regime corporativo, che era quello del fascismo, e al cui spirito aveva aderito totalmente immaginando addirittura la corporazione proprietaria, qualche cosa che va nel senso dei soviet di fabbrica o delle cooperative. E poi c'è il suo ultimo libro, scritto nel '43, il cui tema è il lavoro: a quel punto Gentile è molto, molto a sinistra".
Da quegli anni e dalla guerra al totalitarismo, siamo passati oggi alla guerra al fondamentalismo. Il liberal americano Paul Berman sostiene che questa sia il proseguimento di quella, che la guerra al terrorismo sia una guerra antifascista. Lei cosa ne pensa?
"Penso che sia molto sbagliato e anche piuttosto pericoloso distribuire definizioni di fascista a tutti, indistintamente, perché si perde il senso di quella che fu la specificità dell'ideologia fascista. Se tutti sono fascisti, alla fine nessuno è fascista. Detto questo, certamente tra il fanatismo religioso, che è totalizzante, e il totalitarismo un confronto è possibile, ma sono confronti utili alla conversazione, non all'analisi documentata e scientifica di un problema. I totalitarismi fascista, nazista e comunista erano fondati su un'ideologia estremamente laica della società e su una militarizzazione della società, mentre nel caso del fondamentalismo islamico si tratta di fanatismo religioso, fondato sulla militanza religiosa".
La minaccia fondamentalista quanto sta modificando lo scenario delle relazioni internazionali tra le grandi potenze?
"Innanzitutto, va detto che non è tanto la minaccia come tale la spada di Damocle che pende sulla nostra società, quanto la percezione che gli americani hanno di quella minaccia e le conclusioni che ne hanno tratto. Gli Stati Uniti hanno deciso di considerarla come una minaccia totale e di sostenere che la guerra per sradicare questo rischio è una guerra totale. Si poteva anche rispondere diversamente, considerando il fondamentalismo islamico una grande minaccia, ma pur sempre limitata a settori minoritari delle società arabo-musulmane, da sconfiggere con i sistemi dell'intelligence e della vigilanza finanziaria".
L'Unione Europea che ruolo può avere in questo scenario?
"L'Unione Europea si è divisa sulla guerra contro l'Iraq, tuttavia non credo che tale divisione sia dovuta a una diversa percezione del fenomeno del fondamentalismo islamico. Tutti i paesi europei sanno che il fenomeno è grave e che va colpito con durezza, ma con le armi della polizia, dell'intelligence e della sorveglianza finanziaria e non certo con forme di guerra totale. Ciò su cui si sono spaccati è il tipo di rapporto che hanno ritenuto utile avere con gli Stati Uniti. Del resto, noi europei non possiamo non avere una visione diversa del problema, dato che in Europa vivono tra i 15 e i 20 milioni di islamici e quindi dobbiamo stare molto attenti a dare la sensazione che siamo in guerra contro una minaccia globale, perché dietro questa affermazione si nasconde la possibilità dell'equazione Islam uguale terrorismo".

CATERINA CARAVAGGI

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