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Giovedì 25 Aprile 2002 - Libertà

I cartelloni del Novecento che fanno sognare

Viaggio nella mostra "Metlicovitz e Dudovich: due cartellonisti del '900" aperta fino al 23 giugno nell'ex Centrale Emilia di via Nino Bixio. Il maggiore veicolo di diffusione del Liberty

Un sensuale sfondo rosso scuro, con fini campiture di colore; un salotto di gente agiata, con un maturo visitatore che conversa con una signora alla moda dall'aria annoiata; in primo piano un giovane ed elegantissimo signore in frac, aria da dandy e gambe accavallate, si sfila un guanto e guarda l'osservatore con aria malandrina. Questa illustrazione, che ha ormai quasi cento anni, è un'immagine meravigliosa; meravigliosa, al di là dei pregi del segno grafico, per la sua capacità di far correre la fantasia dell'osservatore, di evocare in un batter d'occhio tutto un mondo. Fu realizzata nel 1905 dal grande Marcello Dudovich come manifesto pubblicitario per la casa milanese d'abbigliamento maschile Fratelli Sanguinetti. E oggi è stata scelta come locandina di una mostra incantevole: "Metlicovitz e Dudovich - Due cartellonisti del '900 dalla Raccolta Bertarelli di Milano", aperta fino al 23 giugno in un suggestivo (e ben illuminato) spazio di archeologia industriale dell'ex centrale elettrica Emilia in via Nino Bixio 27 (tutti i giorni escluso il lunedì, dalle 10.30 alle 18), curata da Giovanna Ginex e promossa da Regione Emilia-Romagna, Provincia di Piacenza, Comune di Milano, Civica raccolta delle stampe "Achille Bertarelli", Fondazione di Piacenza e Vigevano ed Eurogen in collaborazione con Libertà e diversi sostenitori privati. In questa esposizione i due magnifici cartellonisti Dudovich e Leopoldo Metlicovitz - gli illustratori italiani dei primi decenni del secolo che forse più fecero, insieme col geniale Leonetto Cappiello, per elevare la réclame a forma d'arte - sono rappresentati da 32 manifesti, 16 per ciascuno, che spaziano dal 1892 al 1936. Questi 32 manifesti d'epoca sono tratti dal cospicuo "fondo manifesti" (7.000 esemplari) della Raccolta Bertarelli di Milano, la cui prima trasferta nella nostra città avviene sotto i migliori auspici: triestini entrambi, Leopoldo Metlicovitz (1868-1944) e Marcello Dudovich (1878-1962) furono tra i primi art directors della grafica italiana, dirigendo in tempi successivi (Dudovich fu assistente di Metlicovitz, che a sua volta lo era stato del grande Adolfo Hohenstein) la formidabile Officina di Arti Grafiche Ricordi di Milano, i cui anni ruggenti coincisero con lo sviluppo e l'apogeo di quello che è stato chiamato "cartellonismo". Nella seconda metà dell'Ottocento il perfezionamento della cromolitografia facilita la stampa dei manifesti a colori e le arti figurative iniziano a lavorare per la neonata cultura di massa, propiziata dalle esposizioni universali e dalla seconda rivoluzione industriale che mette alla portata di un pubblico più vasto tutta una serie di beni di consumo (non solo materiali, ma anche culturali: all'ex Centrale Emilia si può ammirare il manifesto di Metlicovitz per "Il tabarro" di Puccini). Fatti i beni di consumo, restano da fare i consumatori: i cartellonisti devono convincere gli osservatori all'acquisto nello spazio di uno sguardo, facendo leva sul loro desiderio di elevazione sociale. La gente che guarda i manifesti deve sognare: a questo servono le invenzioni (il geniale manifesto di Dudovich del 1928 per Borsalino, col cappello esposto che sembra più reale dello spettrale osservatore in cilindro oltre la vetrina), la sensualità (l'audace bacio di Dudovich per il Bitter Campari, la maliziosa signora di Metlicovitz - finita in copertina del catalogo della mostra, edito da Skira - che nel 1914 scopre la scarpa per il Calzaturificio Varese), e anche lo stile. Tra il 1890 e il 1914 sarà proprio la cartellonistica (bistrattatissima dalla cultura italiana, eternamente tarata dal suo "mal d'accademia") il più importante veicolo di diffusione dell'Art Nouveau (o stile Liberty), più evidente nello Jugendstil germanicheggiante di Metlicovtz che nello stile più plastico di Dudovich. Ma molte sono le sorprese nei percorsi creativi di questi due magnifici "artisti dell'industria": è per questo che le vecchie réclames riescono a colpirci così tanto anche nell'era dello spot.

Oliviero Marchesi

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