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Venerdì 19 Aprile 2002 - Libertà

Don Franco, il comunicatore in clergyman

A undici anni dalla morte è ancora vivo il segno lasciato dal sacerdote-scrittore piacentino. Un libro ne ripercorre la vita e il pensiero. Studioso del passato, attento ai grandi temi del presente e con il senso del futuro

Undici anni fa moriva don Franco Molinari, un prete che ha lasciato un'orma importante nella storia sia della Chiesa piacentina, e non solo, sia della cultura. Già all'indomani della sua scomparsa, quando la Deputazione di storia patria e l'Istituto per la storia del risorgimento lo hanno commemorato, sono emerse le sue tre anime: il sacerdote, lo storico e il giornalista. Per tutte un comune denominatore che le lega: la capacità di comunicare. Il libro che viene presentato questo pomeriggio alla Fondazione mette in rilievo, tra l'altro, questa sua capacità.
Era infatti uno studioso che si muoveva ugualmente bene sia sulla frequenza del passato come su quella del presente. Per questo si trovava a proprio agio sia sulle pagine della rivista universitaria come sul periodico divulgativo. In altri termini riusciva a mettere d'accordo due professioni che a volte vanno per strade diverse: lo storico e il giornalista. Alcuni lo accusavano di scrivere troppo, di non sapere dire di no, ma non va dimenticata la motivazione che era alla base della sua scelta. Don Franco non era un grafomane, ma uno studioso che si sentiva al servizio del prossimo. Era solito ripetere agli amici una sua massima: "Scrivere facile è difficile, ma il dovere del cristiano è quello di comunicare con i fratelli. E poi è un fatto di democrazia. Chi scrive difficile é nemico del popolo". Per lui il cristianesimo era soprattutto amore e questo lo portava ad utilizzare la sua cultura nel ruolo del servizio. Cercava, per questo, ciò che unisce. Si era specializzato nello studio della Controriforma e in Lutero aveva cercato gli aspetti positivi senza esasperare i negativi. Nello stesso modo si comportò nell'analisi dei problemi dell'Ottocento e nella prima metà del secolo scorso. Fu sempre in linea con il Magistero della Chiesa, ma non mancò di esprimere giudizi autonomi. Sapeva che non sempre, anche nel mondo a lui vicino, tutti erano d'accordo con le sue teorie. Alle sterili disquisizioni da salotto, lui, però, ha sempre scelto l'azione, l'uso della penna e della parola e ogni occasione non doveva essere sprecata. Era uno storico attento e scrupoloso, ma non amava chiudersi entro le barriere del mondo accademico. Faceva di tutto perché i suoi libri avessero successo sul mercato, dal titolo provocatorio (esempio "I peccati di Papa Giovanni") alla ricerca della recensione. Desiderava che si parlasse delle sue opere, ma, anche quando avrebbe potuto, non ha mai chiesto che se ne parlasse bene. Gli interessava la promozione del libro e per vendere di più rinunciava ai propri diritti purché l'editore contenesse il prezzo di copertina. Ma non era esibizionismo. Desiderava solo comunicare. Un esempio che non era affetto da narcisismo editoriale e culturale possono averlo sperimentato tutti coloro che si sono avvicinati alla sua bibliografia. Ha scritto moltissimo, ma non si è mai preoccupato di tenere in ordine una sua scheda bibliografica. Le sue librerie erano piene di libri di altri mentre mancavano i suoi. Evidentemente gli interessava di più essere nel presente che nel futuro. Don Franco, come studioso, non ha mai avuto pose da prima donna. Non lo si é mai sentito parlare male di un altro studioso. Ovviamente non rinunciava alle proprie idee, non temeva il confronto o la polemica, ma sempre nell'estrema correttezza e nella massima disponibilità al dialogo. Spesso si faceva lui stesso promotore della presentazione dei libri di altri autori con disponibilità e generosità. Non era semplice bontà d'animo. Sotto l'apparente candore questo sacerdote celava una personalità complessa. Alla base del suo comportamento vi era una visione della vita ben precisa. Intendeva la cultura come servizio e pertanto anche gli studi storici, che lui coltivava con scrupolo come professore universitario, dovevano avere un riscontro immediato e concreto nella realtà attuale. Come studioso era profondamente incarnato nella realtà piacentina, ma con uguale forza era presente in quella bresciana. Tutto questo era il frutto della sua volontà di mettere la propria cultura al servizio dei contemporanei. Ha studiato i sinodi piacentini nei secoli passati e quando la Chiesa locale affronta i lavori sinodali promossi dal vescovo Antonio Mazza, si mette subito a disposizione per l'analisi delle origini storiche dell'avvenimento. Ha scritto articoli sui santi piacentini perché aveva intuito che la Chiesa piacentina era orientata a rivalutare, come d'altra parte sta ancora facendo, le proprie origini. E non si tratta di tentazioni culturali, ma di precise ragioni pastorali. Ragioni che vengono dalla realtà di tutti i giorni e da senso del futuro. In questo don Franco Molinari era un maestro: lo aveva appreso dagli studi storici e dal giornalismo militante, due scuole che con il sorriso, ma con determinazione, utilizzava per fare il prete.

Fausto Fiorentini

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