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Sabato 30 Aprile 2005 - Libertà

Le radici della "sua" Valtrebbia, mai dimenticate

L'ultima conferenza a Piacenza, pochi giorni prima di morire. Riposa nel cimitero di Quarto

Per il giardino pensile dell'attico milanese di via Plinio in cui viveva con la moglie e i figli volle terra prelevata nella "sua" Niviano (gliela portarono i fratelli, con i trattori, in una singolare processione da Piacenza). E ci mise le piante della sua gioventù, a cominciare dalle amarene. Perchè, pur abitando stabilmente nel capoluogo lombardo, Franco Fornari ha sempre mantenuto solidi legami affettivi con Piacenza ed in particolare con la Valtrebbia. L'anagrafe lo dice nato a Rivergaro il 18 aprile, ma lui ci teneva a precisare di essere venuto alla luce "nel castello di Niviano". Penultimo di dieci fratelli e quindi - inevitabilmente - il più coccolato. Lo raccontò lui stesso in un'intervista a Libertà, con un citazione di Freud, secondo il quale il beniamino della madre è generalmente tra i figli quello predestinato al successo. "Naturalmente ammettendo che io abbia raggiunto il successo - si affettò a precisare con una modestia tutta piacentina - questo non sta a me dirlo". Alto, robusto, il "volto terragno" (così lo descrive il compianto collega Gianni Manstretta) incorniciato da capelli argentei, l'aspetto di un professore oxfordiano, sempre gentile e disponibile. "Con Piacenza, purtroppo, ho legami soprattutto orali" rivelava sorridente in quell'intervista, intendendo dire che gli erano rimaste le nostre abitudini gastronomiche: gli anolini a Natale, i tortelli alla Vigilia, il vino di Albarola e la coppa (che veniva a scegliere personalmente da un salumaio di Pontedellolio). Consuetudini di cui era complice la moglie, Bianca Bertonazzi, anch'ella piacentina ("di Bichignano" precisava lui stesso), sposata nel '47, appena dopo la laurea. Si erano conosciuti perchè anche lei frequentava l'Università a Milano, facoltà di lettere". "Forse è stato proprio l'essere nato a Rivergaro che mi ha fatto desiderare, fin da giovane, la grande città - spiegava Fornari - cosicchè ho "saltato" Parma (era come essere a Piacenza!) ed ho optato per Milano. Anche perchè Milano per me voleva dire poter frequentare i teatri, le sale da concerto, che sono da sempre tra le mie passioni". Fin da studente Fornari mostrava di avere una marcia in più. I compagni di liceo ricordano che era in grado di tradurre il greco a prima vista. Cominciò giovane ad interessarsi di psicoanalisi. "Mi iscrissi a Medicina - raccontava - ma mi accorsi ben presto che, più che l'uomo in senso anatomico (in termini di fegato o di cuore) mi interessava soprattutto come entità psichica". Nel dicembre del 1982 aveva avuto la grande soddisfazione di essere premiato a Milano insieme ad un altro piacentino illustre, lo stilista Giorgio Armani. Ricevette, assieme ad altre personalità, le tradizionali medaglie d'oro di Sant'Ambrogio, che il Comune attribuisce ogni anno ai cittadini benemeriti nel giorno del patrono. Un anno dopo fu a Piacenza per un'affollata serata alla Famiglia Piasinteina (che lo aveva già premiato con la medaglia d'oro per la piacentinità). Presentato da Igino Maj, tenne una conferenza su "Che cos'è l'anima". E nella nostra città il professor Fornari tenne anche la sua ultima conferenza pubblica. Pochi giorni prima della morte - avvenuta improvvisamente, nel suo appartamento di Milano, il 20 maggio 1985 - Fornari aveva trattato un tema a lui molto caro: Le origini psicoanalitiche della non-violenza". Ad ascoltarlo, quella sera, nella sala consigliare della Provincia, c'erano un centinaio di persone che il professore aveva "catturato" con il suo eloquio semplice e chiaro. E a Piacenza - per la precisione in una cappella del piccolo cimitero di Quarto - Franco Fornari riposa ormai da vent'anni.

Giorgio Lambri giorgio.lambri@liberta.it

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