Sabato 30 Aprile 2005 - Libertà
"E' stato il mio primo allievo"
Il maestro
Franco Fornari era stato il mio primo allievo all'Università di Milano, subito dopo la fine della guerra, quando la facoltà di Medicina mi incaricò di tener un corso di psicologia per i laureandi. Si appassionò subito ai nostri studi. Si sottopose ad analisi, e fu tra i miei più intelligenti e vivaci allievi. Prese il mio posto in facoltà di Lettere all'Università quando io lasciai l'insegnamento nel 1967. Ho avuto anche polemiche con lui. Come è giusto che avvenga fra un maestro ed un allievo. Perché quegli che esercita funzioni di maestro è sempre un po' prepotente ed oppressivo con i propri allievi. Mentre l'allievo, se ha intelligenza, inventività, capacità espositive, urge alle spalle del vecchio maestro e tende ad affermarsi. Fornari aveva tutte le qualità per poter fare questo. E sono avvilito ed angosciato per dover io parlare di lui che avrebbe avuto il diritto di vivere molto più a lungo e di allargare la scuola di allievi devoti che si era formata. Fornari scriveva molto, pubblicava opere sempre nuove. C'era in lui un'ansia di portare la nostra disciplina su posizioni sempre più ardite. Io, confesso, ero più restìo a seguirlo. Ma poi pensavo che questo doveva accadere per la diversità della nostra età. A me non andava l'introduzione di determinati neologismi, e lo spostarsi dalla limpida prosa di Freud. Mi rendevo tuttavia conto alla fine che io ero l'anziano conservatore, aggrappato a concetti ed a metodi che avevo seguito durante tutta la vita; mentre egli era spinto dall'ansia di diventare un innovatore. Un nuovo Freud? No, questo no. Ma un individuo che vive la scienza come qualcosa che si muove e non rimane immobile. Fornari poi aveva attitudini artistiche e letterarie; ed era insofferente dell'eredità dello scienziato sperimentalista che allontana da sé ciò che non rientra negli schemi logici di una scienza matematizzata. Così ci furono anche dissidi tra noi. Egli possedeva una fantasia fervida, ed io sono diffidente di fronte a questi atteggiamenti. Caro Franco, se sei stato qualche volta fantasioso lo sei stato con genialità. Il vuoto che lasci è pauroso; e sposta tutto l'equilibrio della psicoanalisi italiana. Sì, sono triste, molto triste. Come se avessi perduto il figliol prodigo. E sento salire in me una grande amarezza. Forse in seguito le dirò meglio queste cose: Ma attualmente, a poche ore dal colpo che ti ha stroncato e che ha spento la tua vita, non posso esprimere che queste scarne parole. Bisogna che io pensi ancora a te con maggiore tranquillità e pacatezza. In questo momento sei soltanto il ragazzo che nel primo banco dell'aula seguiva le mie lezioni, e poi veniva accanto a me a lezione finita, chiedendomi qualche spiegazione. E penso a te ed alla tua compagna che ti è stata di grande aiuto e conforto con la sua intelligenza ed il suo affetto.
(Tratto da La Stampa, 21 maggio 1985)
CESARE MUSATTI