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Domenica 21 Luglio 2002 - Libertà

Demidova, Rota e Ofi i punti forti

CARMEN. A margine della "prima", una riflessione sull'allestimento dell'opera al Farnese. Regia piatta, deludenti scene, coreografie e coro

A margine della stretta cronaca musicale della "prima" della Carmen di Bizet rappresentata con successo l'altra sera nel cortile di Palazzo Farnese per il Farnese Musica Festival (e replicata ieri sera con un cambiamento: il basso Antonio Marani al posto di Gianfranco Zuccari nel ruolo di Zuniga) non è forse inutile tentare un piccolo approfondimento critico. Non c'è dubbio che la compagnia di canto e l'Orchestra Filarmonica Italiana diretta da Marcello Rota - cioè, quanto più conta nella riuscita di un allestimento lirico - siano uscite bene dalla prova. Il mezzosoprano bielorusso Larissa Demidova, che ha dominato il cast per cavata e corpo vocale, è stata una Carmen del tutto all'altezza della situazione, rispettosa del testo musicale, attenta alle sfumature anche psicologiche della parte e dotata di una sua personalità. Mauro Pagano - pur tradito a tratti, nella sera della "prima", dall'emissione (nel finale di La fleur que tu m'avais jetée) e da accenti un po' troppo "veristici" (nell'atto quarto), ha prestato al suo Don Josè un bel timbro tenorile, una giusta intensità passionale e una presenza scenica nobilmente accorata. A chi scrive sono poi piaciuti molto la lirica e dolce Micaela di Nunzia Santodirocco (molto bella la sua Je dis que rien ne m'épouvante) e il virile, elettrizzante Escamillo di Carmine Monaco (un baritono di voce piacevolmente scura, che osserva intelligentemente la prescrizione bizetiana di cantare avec fatuité). Al bel risultato della compagnia di canto si unisce la performance, notevole, offerta dall'Ofi sotto la guida dell'espertissimo Marcello Rota, il direttore che col complesso orchestrale piacentino ha forse il feeling migliore (eccellente, in particolare, la concertazione dei brani d'insieme). A mio avviso, però, contro la piena riuscita dello spettacolo hanno giocato tre fattori. Il primo è il bugdet: sostenuti, con un finanziamento di per sé notevolissimo, dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, gli allestimenti lirici del Farnese Musica Festival estivo a serata costano meno della metà di un allestimento invernale "medio" del Municipale pur tenendo conto dell'abbassamento dei cachet dei cantanti. La cosa non è priva di ripercussioni sulla qualità del prodotto (vedi il Coro Tamagno di Torino, onesta compagine di amatori che ha rappresentato, musicalmente, l'anello debole di questa Carmen; o le modeste scenografie, che avrebbero potuto essere addirittura eliminate) e non sarebbe forse male mettersi sin d'ora a cercare sponsor aggiuntivi. Il secondo fattore è stata l'estrema convenzionalità, perfino la piattezza della messa in scena (strano, considerato che il direttore artistico del Festival è un fine e coltissimo studioso di teatro come Paolo Bosisio): la regia di Ruggero Bogani viveva di movimenti di massa elementari, senza l'ombra di un'idea "forte", coi ballerini della Compagnia Opera Balletto di Milano (impegnati, senza loro colpa, in coreografie da saggio finale di scuola di ballo) che si sovrapponevano all'azione come boys di un musical. L'impianto scenico, in realtà, avrebbe forse fatto miglior figura in teatro: ma non lo consentivano le ridotte dimensioni del palco approntato nel cortile del Farnese (né il grande spazio del cortile stesso, che costringeva una pur brava cantante-attrice come la Demidova a ricorrere a un vetusto repertorio di sgonnellamenti e ancheggiamenti - per i quali, pure, il nostro mezzosoprano, come si suol dire, "ha il fisico" - per comunicare la sensualità del suo personaggio). E qui siamo al fattore numero tre: non è colpa del cortile del meraviglioso palazzo del Vignola (che pure è aperto su un lato e lascia entrare rumori di disturbo), ma le rappresentazioni all'aperto, per loro natura, non costituiscono il luogo ideale per l'opera lirica. Vero è, comunque, che questa Carmen ha attirato molti spettatori, tra cui moltissimi giovani, alla loro prima esperienza con questo genere di spettacolo: e se aiutano a creare un nuovo pubblico per una forma d'arte minacciata di estinzione, queste operazioni sono comunque benvenute.

Oliviero Marchesi

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