Domenica 28 Luglio 2002 - Libertà
Tosca, è quasi un film-opera
Regia e direzione di qualità, stasera e martedì Ruggiero al posto di Salvadori. Cast super: e la musica vince anche tra video e microfoni
VIGOLENO - Gremita la pedana del pubblico, entusiasti gli spettatori, caldissima la standing ovation finale con lunghi minuti di applausi e grida di "bravo!" (e soprattutto "brava!") a volontà. L'esito della "prima" della Tosca di Puccini andata in scena l'altra sera al Castello di Vigoleno per la stagione "Busseto-Vigoleno 2002" curata dalla Fondazione Toscanini (sarà replicata stasera alle 21.30 e martedì 30 alla stessa ora con un cambio nel cast: il baritono Paolo Ruggiero prende il posto di Antonio Salvadori nel ruolo di Scarpia) può a buon diritto essere definito trionfale. Merito in primo luogo della splendida protagonista Paoletta Marrocu: una tecnica perfetta, una personalità vocale e drammatica versatile e completa, doti d'attrice di prim'ordine (nel far emergere il tratto infantile e vulnerabile di Tosca, il suo bisogno d'affetto, la sua credulità), un gusto sempre sicuro. Merito del glorioso baritono Antonio Salvadori, uno Scarpia tratteggiato con emozionanti sfumature per sottolineare l'elemento erotico-sadico del personaggio: la sua consumata arte d'attore e la sua bellissima voce scura (nonostante il lieve affanno nei momenti più concitati del secondo atto) si imprimono indelebilmente nella memoria. Merito del tenore Carlo Ventre, che ha superato la lieve flessione patita qualche anno fa dopo le sue folgoranti affermazioni alla Scala e che emoziona soprattutto con la sua intensa E lucean le stelle. Merito di una "macchina canora" in cui ogni pezzo gira alla perfezione: dai comprimari (tutti bravi, una rarità) al Coro Master di Piacenza diretto da Corrado Casati. Merito della regia di Mietta Corli, in cui le proiezioni video costruiscono un efficace "film-opera dal vivo" che evita le secche del kitsch (se non in certi fugaci "effetti videoclip" del primo atto e nel curioso pastiche manieristico-neoclassico che la Nostra fa dipingere a Cavaradossi: un collage fra la Deposizione nel Sepolcro di Caravaggio e l'Ettore e Andromaca di David) e, coi suoi ingrandimenti, permette agli spettatori di seguire l'ottima "recitazione" degli interpreti. Merito pure di una microfonatura che, al di là di ogni considerazione puristica, ha consentito alla musica di librarsi vittoriosa in un ambiente non sempre favorevole. Vale forse la pena di spendere un'ultima considerazione: dei due appuntamenti della stagione lirica 2002 di Vigoleno, questa Tosca dal basso profilo mediatico supera di mille cubiti il pubblicizzatissimo - e pur non disprezzabile - Rigoletto con la messa in scena firmata da Vittorio Sgarbi. Un differente risultato - va ribadito - che non deve essere ascritto tanto ai rispettivi registi (come se un regista fosse in grado di determinare, da solo, la qualità di una rappresentazione lirica), quanto alle forze musicali messe in campo. Nel Rigoletto, accanto a un protagonista eccezionale come il baritono Roberto Servile, c'erano un tenore di grande prestigio ma un po' giù di forma; un soprano di bella voce ma dall'intonazione un tantino "ballerina"; e soprattutto una direttrice d'orchestra che della magica musica di Verdi offriva una lettura fragorosa quanto piatta. Tutt'altra musica (in tutti i sensi) con questa Tosca che vede sul podio Günter Neuhold: un direttore di prim'ordine che vanta un intenso rapporto di frequentazione e affetto tanto con questa partitura - alla quale conferisce tinte insolitamente "sinfoniche", che creano un positivo contrasto con l'interpretazione accesamente post-veristica dei cantanti - quanto con l'Orchestra Toscanini, che difatti, sotto la sua guida, "canta" che è un piacere. Tutte le strategie che puntano a far scoprire l'opera lirica al grande pubblico sono meritorie e benvenute; ma nell'arte, come dimostra gloriosamente la Tosca di Vigoleno, la buona scelta delle materie prime conta più - e forse, alla lunga, paga anche di più - di un "testimonial" azzeccato.
o. mar.